Il mercato dei diamanti artificiali non mostra segni di rallentamento. Le stime parlano di un giro d’affari globale che nel 2024 valeva 26 miliardi di dollari e che, se i trend attuali terranno, potrebbe sfiorare i 98 miliardi nel 2034: un salto medio annuo del 14 %. Alla base c’è la voglia, soprattutto di millennials e Gen Z, di gioielli etici, sostenibili e più accessibili dei diamanti naturali. Questo cambio di mentalità coincide con la crescente attenzione a tracciabilità, impronta carbonica e benessere dei lavoratori lungo tutta la filiera.
Asia‑Pacifico in prima linea
Il 2024 ha visto l’Asia‑Pacifico detenere già il 34 % del mercato mondiale e nulla lascia intendere un cambio di rotta. Valutata 8,9 miliardi di dollari, la regione punta a 33,8 miliardi entro il 2034. A trainare la corsa sono soprattutto Cina e India, dove governi e investitori privati spingono su incentivi fiscali, poli di ricerca e collaborazioni universitarie per perfezionare la crescita in laboratorio.
Un esempio? Shenzhen, definita “la Silicon Valley dei gioielli”, ospita decine di start‑up che sperimentano tagli innovativi e finiture che imitano le sfumature dei diamanti fancy color naturali, ma con un prezzo al carato fino al 70 % più basso. Dall’altra parte, Jaipur e Surat stanno convertendo parte delle storiche catene di lucidatura di diamante naturale a reparti dedicati ai diamanti artificiali, garantendo così competenze artigianali di alto livello a un materiale di nuova generazione.
India protagonista, Cina ancora leader
La Cina continua a dominare per volumi estratti in laboratorio ed export, ma l’India avanza veloce. Programmi pubblici di innovazione, un ecosistema fintech fiorente e l’espansione della classe media generano una domanda in ascesa. Solo nel 2022, il mercato indiano della gioielleria con diamanti artificiali valeva 264,5 milioni di dollari; entro il 2033 potrebbe oltrepassare 1,2 miliardi.
True Diamond, micro‑fabbrica lanciata a Mumbai nel 2023, è rappresentativa del boom: in dodici mesi ha quintuplicato le vendite e oggi rifornisce, oltre alle grandi città, anche i punti vendita online delle zone rurali, dove l’e‑commerce colma la distanza con le boutique del lusso. «La nostra cliente tipo è una donna fra 35 e 45 anni, con buon potere d’acquisto, ma attenta all’impatto sociale di ciò che indossa. Vuole un brillio responsabile tanto quanto un bel design», racconta il co‑fondatore Darayus Mehta.
Nord America: il motore che accelera
Negli Stati Uniti e in Canada il binomio “lusso e sostenibilità” non è più nicchia. Il boom di e‑commerce specializzati, campagne di marketing aggressive sui social e partnership fra brand mainstream e designer indipendenti rendono i diamanti coltivati in laboratorio un acquisto quasi “di impulso” per chi cerca alternative al tradizionale anello di fidanzamento.
In aggiunta, i settori automotive ed elettronico sfruttano la durezza dei diamanti artificiali per applicazioni che vanno dalle punte da taglio ai substrati di semiconduttori. Questa domanda “tech” crea economie di scala: più si produce per l’industria, più cala il costo dei cristalli destinati alla gioielleria, riducendo così il divario di prezzo rispetto al cubic zirconia di fascia medio‑bassa.
Non va trascurata la dinamica finanziaria: diversi rivenditori offrono piani di pagamento rateali senza interessi, equiparando l’acquisto di un solitario da laboratorio a quello di uno smartphone di fascia alta. Un incentivo che attrae i consumatori più giovani e digital‑native.
Medio Oriente e Africa: nuove consapevolezze e opportunità
In Medio Oriente e Africa, il mercato valeva circa 760 milioni di dollari nel 2023 e punta a superare 1,1 miliardi entro il 2030. A spingere c’è un mix di fattori:
- Gioielli personalizzati – Le boutique di Dubai Design District propongono “experience rooms” dove il cliente sceglie su tablet caratura, taglio e montatura.
- Normative più severe – Emirati e Arabia Saudita stanno varando standard ESG per il settore gioielleria, premiando chi traccia la filiera e riduce le emissioni.
- Tecnologia locale – Alcuni laboratori, soprattutto in Sudafrica, sperimentano l’uso di energia solare concentrata per alimentare i reattori CVD, riducendo i costi operativi e l’impatto ambientale.
Le incognite geopolitiche
La regione resta però sensibile a embargo, conflitti e carenza di infrastrutture logistiche. Un blocco al canale di Suez, per esempio, può ritardare di settimane l’arrivo di semilavorati in Europa, con ripercussioni sui prezzi. Gli investitori, di conseguenza, chiedono garanzie assicurative più alte e ciò si riflette sui margini di molte startup locali.
Concorrenza serrata
Giganti come De Beers (con il marchio Lightbox), IIa Technologies di Singapore, Brilliant Earth, WD Lab Grown Diamonds, Alrosa e Swarovski non restano a guardare. Investono in R&S su tagli brevettati, stringono joint venture con retailer asiatici e lanciano collezioni “bridal” dedicate al segmento medio‑alto del mercato. L’idea è presidiare ogni fascia di prezzo per evitare che i nuovi player si ritaglino nicchie troppo profittevoli.
Diamanti naturali e artificiali: coesistenza possibile
I produttori di diamanti estratti sperimentano una fase di rallentamento, ma non è una guerra a somma zero. Secondo gli analisti di Madestones, colosso europeo del settore lab‑grown, esiste un pubblico che continua a desiderare il fascino “millenario” del diamante minerale e un altro più sensibile a etica e costo. Offrire entrambi, con trasparenza sulle origini e certificati comparabili, è la chiave per fidelizzare clienti diversi senza cannibalizzarsi.
Non a caso alcune gioiellerie di fascia alta espongono in vetrina la doppia linea: diamanti naturali con certificazione GIA accanto alle versioni artificiali con identico taglio ma prezzo inferiore. Il messaggio è chiaro: la scelta è tua, noi garantiamo qualità e garanzie in entrambi i casi.
Il futuro? Brilla di opportunità
Se la traiettoria di crescita resterà quella attuale, i diamanti artificiali diventeranno presto un benchmark non solo per chi compra un anello, ma anche per l’industria high‑tech e per i mercati finanziari che cercano nuovi asset “responsabili”. Chi saprà coniugare ricerca scientifica, narrazione di marca e logistica resiliente potrà trasformare la sfida in un vantaggio competitivo duraturo.