Gli amanti dei film d’animazione e del cinema giapponese hanno iniziato a contare i giorni per l’uscita nazionale di “Il ragazzo e l’airone”, l’ultima opera (forse in tutti i sensi) diretto da Hayao Miyazaki. L’uscita nel nostro paese è fissata al primo gennaio 2024.
In Giappone, il film è uscito il 14 luglio dopo una lunga attesa carica di mistero. Lo Studio Ghibli aveva infatti deciso di non promuoverlo, e non aveva prodotto nemmeno un trailer. La strategia ha sicuramente funzionato: nel primo weekend il film ha battuto gli incassi dei film Ghibli precedenti. Ma trattandosi di Hayao Miyazaki non c’è da sorprendersi.
Per chi non lo conoscesse, Miyazaki è uno dei fondatori dello Studio Ghibli e il regista di “La città incantata”, l’unico film di animazione giapponese ad aver mai vinto un Orso d’oro e un Oscar. Ha diretto numerosi lungometraggi animati che hanno fatto incassi da record in Giappone, come “La principessa Mononoke”, “Totoro” e “Il castello errante di Howl”. Le sue opere precedenti sono disponibili su Netflix. Queste giornate invernali potrebbero essere un’ottima occasione per immergersi nel suo mondo prima dell’uscita del nuovo film!
Per avere una panoramica più ampia del cinema nipponico, invece, vi consigliamo questa breve storia del cinema giapponese sulla pagina di VolcanoHub. Nel sito trovate anche altri articoli sul Sol Levante che potrebbero aiutarvi a decifrare alcuni elementi culturali presenti nei film.
“Il ragazzo e l’airone” in giapponese s’intitola “Kimitachi wa Dō Ikiru ka” (“Come vivete?”). Racconta la storia di Mahito, un ragazzo orfano di madre che si deve trasferire in campagna con la famiglia per sfuggire ai pericoli della guerra. Dopo l’incontro con un airone parlante, decide di esplorare una torre misteriosa.
Sulla superficie, il film riprende alcuni elementi autobiografici: sia il regista che il protagonista passano parte dell’infanzia in campagna per sfuggire agli orrori della guerra, e il padre di Mahito, come quello di Miyazaki, lavora in una fabbrica di aerei. Il tema degli aerei e del volo, peraltro, torna in molti film del regista, dal leggendario “Porco Rosso” al più recente “Si alza il vento”.
Anche nelle immagini ritroviamo alcuni classici a cui Miyazaki ci ha abituati: animali antropomorfi, creature che sono al tempo stesso carine e inquietanti, cibo invitante che sembra uscire dallo schermo, anziane con tratti del viso buffi ed esagerati.
Ma il vero marchio di fabbrica dei film di Miyazaki è il mondo liminare, un universo fantastico situato appena al di là della nostra realtà quotidiana. In questo caso è la torre a fungere da porta di accesso all’altro mondo, e la chiave per entrarci è il dolore della perdita, la sofferenza di Mahito per la scomparsa della madre, l’ansia di vivere in un mondo che sembra sull’orlo del collasso. Viste le premesse, non è un caso che questa versione del mondo “miyazakiano” sia permeata dall’idea della morte, del dolore, ma anche della vita e della rinascita. Tematiche calzanti per quello che sarà probabilmente il testamento del regista, ma non certo facili.
Anche in questo caso, infatti, Miyazaki usa un mezzo e un’ambientazione apparentemente per bambini per rivolgersi invece a un pubblico più adulto. Quel mondo onirico è sempre lì, appena oltre il visibile, subito dopo le porte del subconscio. È parte di noi e ci chiama non solo quando siamo bambini, ma anche quando, come Miyazaki, abbiamo superato gli 80 da un po’.
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