UDINE – Arte, teatro, musica, cinema, sport, conferenze, incontri, racconti, memoria, natura e tanta bellezza per il benessere della collettività, tre mesi di eventi culturali e di intrattenimento – dal 23 giugno al 25 settembre a Udine – con ben 37 date che hanno animato l’estate friulana. Si chiuderà domenica 25 settembre l’edizione numero 25 delle “Feste d’Estate al Parco di Sant’Osvaldo”, in programma alle 10 del mattino “Memorie d’ombra e di luce. Passeggiata storica nel Parco di Sant’Osvaldo”, punto d’incontro accanto all’aiuola d’ingresso del Parco.
L’appuntamento sarà l’occasione per scoprire la storia preziosa e complessa di uno dei luoghi più suggestivi e ancora poco conosciuti della città, dalla sua fondazione come Ospedale Psichiatrico Provinciale nel 1904 fino ai giorni nostri. Una passeggiata lungo i viali del parco, tra i suoi edifici e giardini, con due guide molto speciali, il dottor Mario Novello, direttore del Dipartimento di salute mentale di Udine dal 1995 al 2012, e la dottoressa Nadia Della Pietra, assistente sociale presso l’Opp dal 1978 al 1981 e successivamente al Centro di salute mentale di Cividale fino al 2013. Ad accompagnare con note e parole, il musicista Daniele D’Agaro e l’attore Sandro Carpini, letture del gruppo Teatrarum. L’evento si realizzerà anche in caso di pioggia nella formula dell’incontro pubblico al chiuso, presso la Comunità Nove, in fondo al Parco.
Ricco il partenariato impegnato ogni anno nelle Feste d’Estate e composto dal Dsm dell’Asufc e dalle Cooperative sociali che operano nel Parco di Sant’Osvaldo, Consorzio Cosm, Duemilauno Agenzia Sociale, Itaca, Partecipazione, Irene3000, e dalle tante associazioni che vi hanno sede. Come tante sono le collaborazioni con i sodalizi del territorio, i circoli Arci della città, la circoscrizione VI San Paolo- Sant’Osvaldo, per una kermesse che ha goduto del patrocinio del Comune di Udine e della Regione Friuli Venezia Giulia.
IL PARCO DI SANT’OSVALDO NEL ‘900
LA FONDAZIONE, IL REGIME FASCISTA, LA LEGGE BASAGLIA, LA CHIUSURA NEL 1999
Inaugurato nel 1904 e concepito con criteri avanzati e liberali come una moderna “città giardino” e struttura no restraint, l’Opp disattende le aspettative iniziali tanto che il numero delle persone internate, originariamente previsto in 250, raggiunge nel 1938 la cifra record di 2400 persone.
Il manicomio, in quegli anni, è un luogo finalizzato non alla cura ma al controllo e alla sorveglianza, dove custodire chi è ritenuto pericoloso per sé o per gli altri, o di pubblico scandalo. Le condizioni di vita al suo interno si caratterizzano presto per la perdita dei diritti, del ruolo sociale, di una vita propria e per un metodo di internamento oppressivo.
Il comprensorio si espande oltre i 50 ettari e vengono costruiti servizi che rendono il manicomio un vero e proprio paese che riesce ad autosostenersi. Si dota infatti di una centrale elettrica, un forno, un pastificio, un macello, un cinema-teatro, una cappella mortuaria.
Tutto cambia con la promulgazione della Legge 180, il 13 maggio del 1978, ad opera di Franco Basaglia e dei suoi collaboratori e collaboratrici, che sancisce in Italia la chiusura dei manicomi e la nascita di nuovi servizi territoriali per la salute mentale, rappresentando l’avvio di un processo che si rivela quasi ovunque lento e faticoso.
Anche a Udine l’attuazione della legge non incontra la volontà politica e amministrativa capace di sostenere la trasformazione del sistema psichiatrico. Così, anche dopo la riforma 833 del sistema sanitario del ‘78, per molti anni resta intatto l’ospedale psichiatrico della provincia di Udine, uno dei più grandi residui manicomiali d’Italia, con centinaia di donne e uomini reclusi.
Alla metà degli anni ’90 entrano nel Parco decine di operatrici e operatori delle Cooperative sociali chiamati dal direttore del Dsm di Udine ed ex collaboratore di Basaglia, Mario Novello, per accompagnare i circa 300 ospiti nei loro percorsi di dimissione, riabilitazione e riappropriazione della propria soggettività.
L’Opp di Udine cessa la sua funzione il 31 dicembre del 1999. Parallelamente si realizza il completamento di un sistema di servizi pubblici di salute mentale di comunità, aperti e dotati di équipe multidisciplinari, elemento fondante l’avvenuta rottura con il passato. Si aprono così man mano nuove progettualità di cura personalizzate, dove la salute mentale si declina in diritto alla casa, al lavoro, alla socialità, a una qualità della vita soddisfacente e una cura dignitosa.
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