PORDENONE – Roberto Kusterle nella sua lunga ricerca artistica indaga l’inesauribile enigma dell’universo. È quanto evidenzia nella mostra personale “Figure del silenzio”, promossa da PEC – Presenza e Cultura (Pec) e CICP – Centro Iniziative Culturali Pordenone con il Comune di San Vito al Tagliamento, quale progetto speciale nell’ambito del 28^ Festival Internazionale di Musica Sacra. La mostra, a cura di Giancarlo Pauletto, sarà inaugurata sabato 14 settembre alle 17.30 nella Chiesa di San Lorenzo a San Vito.
In esposizione il pubblico troverà opere di Kusterle perfettamente coerenti con il tema scelto per questa edizione del festival, “Sacralità del profano”: si tratta di un percorso artistico parallelo a quello musicale, scandito da mostre che vedono protagonisti, oltre a Kusterle, gli artisti Nata a Cordenons, Giulio Belluz a Caneva e Bruno Beltramini a Sesto al Reghena. È un’occasione per approfondire la relazione tra sacro e profano, non immediata quando si tratta di arti visive», spiegano Luciano Padovese e Maria Francesca Vassallo, presidenti di PEC e CICP. La mostra sarà visitabile dal 14 settembre al 27 ottobre, dalle 10.30 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19 i sabati e le domeniche, con ingresso libero. L’inaugurazione di sabato sarà arricchita dalla presentazione del curatore e dall’intermezzo musicale di Anna Molaro, musicista del Conservatorio Tomadini di Udine, che eseguirà il preludio e la Sarabandilare violoncello solo tratte dalla Suite n. 2 di Bach. La mostra si inserisce nel Festival internazionale di Musica Sacra curato da Franco Calabretto ed Eddi De Nadai, promosso da Presenza e Cultura con la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e sostenuto da Fondazione Friuli, BCC Pordenonese, Diocesi Concordia Pordenone, Fondazione Buon Samaritano, Comune di Pordenone. Info www.centroculturapordenone.it/pec.
L’enigma della realtà è centrale nell’opera di Kusterle, questione davanti alla quale l’umanità ha elaborato varie risposte, religiose o filosofiche. È quel che accade «con gli “scenari” di Kusterle – spiega Giancarlo Pauletto, curatore della mostra – scenari e non semplicemente fotografie, perché lo scatto, nel percorso dell’artista, è solo uno dei momenti con cui viene costruita l’immagine finale, e questa immagine ha sempre caratteristiche di evidenza, intensità, severità». Nella serie di opere, l’intenzione dell’artista «è farci constatare la possibile bellezza e l’ineliminabile mistero di tutto ciò che esiste e che in quanto tale partecipa alla nostra vita, alle sue vibrazioni positive, o magari alle sue possibili cadute nell’insignificanza» prosegue Pauletto. Anche nelle figure umane di Kusterle «domina una sorta di incorporeità, in cui l’enigma è nella figura in sé, piuttosto che nel suo accostamento a dati figurativi spiazzanti. Poiché anche gli uomini, non solo le cose, stanno nell’enigma dell’universo» conclude Giancarlo Pauletto.Roberto Kusterle nasce a Gorizia nel 1948, dove tuttora vive e lavora. Attivo dagli anni Settanta nel campo delle arti visive, si dedica alla pittura e alle installazioni fino all’incontro con la fotografia, che elegge strumento ideale della propria ricerca espressiva. Le sperimentaizoni degli anni successivi portano alla luce i temi essenziali della sua poetica: la continuità tra il mondo umano, animale e vegetale, il ruolo mediatore del corpo, l’esercizio dell’ambiguità e dello spiazzamento per dare forma a un’idea e stimolare l’osservatore a interrogarsi. Impossibile dar conto del suo ampio molteplice lavoro che si esercita anche nel cortometraggio, tra i suoi cicli di opere che hanno avuto via via occasioni espositive in Italia e all’estero, si citano Riti del corpo 2003, Mutazione silente New York, Wook e Lattuada Gallery 2009. Segni di pietra Galleria Antonio Nardone Bruxelles 2013, I segni della metembiosi 2012-13, Morus nigra del 2015, Zooxylos del 2016, Corpus ligneum 2017, Echo 2019. Rimane sempre percepibile attraverso tutti questi cicli la volontà essenziale dell’artista che è quella di esplorare l’enigma dell’esistente nelle tante forme del suo apparire, senza rinunciare né all’immaginazione né ai suggerimenti che possono provenire da ogni possibile rimando culturale.
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