Susine bellissime, dolcissime e dalla polpa succosa. Il prezzo pagato quest’anno all’agricoltore? 3 centesimi al chilo.
Amareggiato, un imprenditore agricolo polesano, Raffaello Mantovani, ha deciso di gettare la spugna dopo decenni di coltivazione del frutto e ha tagliato tutte le piante di prugne precoci a Villanova del Ghebbo (Rovigo): tre ettari su sei. Per ora solo metà. Ma il resto, l’anno prossimo, potrebbe seguire lo stesso destino.
“È finita un’epoca per la susina – dice l’imprenditore agricolo, che fa parte dei frutticoltori di Confagricoltura Rovigo, terza generazione di agricoltori dopo il nonno e il papà. “Il Polesine è stato un albero da frutta molto diffuso per decenni, con ottimi risultati di resa e di qualità. Poi c’era stato un periodo in cui era stato sostituito dal pero e dal melo, che sembravano avere più presa sul mercato. Dieci anni fa, invece, le prugne erano tornate di moda e quindi la coltivazione stava riconquistando terreno. Invece adesso la mazzata: tra la concorrenza dei Paesi stranieri, la siccità e la crisi economica innescata dal conflitto russo-ucraino, la nostra frutta non la compra più nessuno. La gente acquista il pane, la carne, i formaggi, ma il resto viene considerato un di più”.
Crisi dei consumi, dunque, ma anche importazioni di frutta straniera, che viene preferita dalla grande distribuzione perché costa meno. Soprattutto in tempi di rincari energetici. “Per le varietà precoci, come la susina Prime Time, mi avevano offerto tre centesimi al chilo. Così le ho lasciate tutte sull’albero. Del resto, alla cooperativa, tra costo trasporto, celle frigorifero, lavorazione, imballaggi e trasporto ai supermercati, la susina costa 48-50 centesimi al chilo. La grande distribuzione non le paga più di 52, che è il prezzo con cui compra quelle della Spagna. E i conti sono presto fatti”.
Qualche spiraglio di speranza c’è per la varietà tardiva Angeleno: “È una susina che in frigo può durare parecchio, anche fino a gennaio. Perciò ne ho raccolte metà, con la speranza che per le feste natalizie qualcuno le comperi. Ma i distributori mi hanno detto di non farmi troppe illusioni, perché il mercato adesso chiede le susine extra large a pasta gialla che arrivano dall’estero, molto meno buone delle nostre ma più grandi”.
Di qui la decisione di tagliare metà delle piante, sostituendole con noccioli. “Ho già alcuni ettari di coltivazione, ma voglio aumentarli perché l’industria dolciaria sta puntando sulle nocciole made in Italy dato che quelle che arrivano da Turchia e Algeria sono piuttosto scadenti. L’Italia produce solo il 30 per cento rispetto al fabbisogno. C’è, quindi, spazio per crescere. Ma noi produttori dobbiamo tutelare i nostri interessi consorziandosi: se ci metteremo in cooperativa potremo avere maggiore potere contrattuale, vendendo direttamente a trasformatori o Gdo. La nocciola viene utilizzata, ormai, in moltissimi campi: non solo nei dolci e dai grandi chef, ma anche dall’industria del wellness, del benessere”.
L’azienda agricola di Mantovani, oltre alla frutta (susine, pere e noccioli), coltiva insalata nella sede principale di Lusia e pomodoro da industria, grano, mais e soia a Lendinara. “Ma i cereali stanno vivendo una grande crisi di mercato e vedo difficile la ripresa – dice l’agricoltore -. Avevo anche vacche da latte, ma le ho vendute perché con il crollo del prezzo, dopo la fine delle quote latte, rischiavo di indebitare l’azienda. E chiudere l’impresa creata da mio nonno, con 70 ettari di terreno, che ha dato da vivere a tre generazioni, mi dispiacerebbe tanto. Perciò bisogna mantenerla sostenibile economicamente, anche perché è in arrivo la quarta generazione, con i miei figli Marco e Matteo, che già lavorano in agricoltura e ai quali, tra qualche anno, vorrei cedere il timone”.
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