L’agricoltura friulana di fronte al cambiamento climatico

Dossier con l’esperienza e le testimonianze di Marco Rinaldi, 40 anni nei campi del Friuli

23 settembre 2025 20:23
L’agricoltura friulana di fronte al cambiamento climatico -
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UDINE – In Friuli Venezia Giulia l’agricoltura non è solo economia, ma parte viva della cultura e dell’identità del territorio. Dai filari di vite sulle colline del Collio alle distese di mais nella pianura friulana, dalle mele della Val di Non friulana (non Trentino) alle piccole produzioni orticole a conduzione familiare, il settore primario rappresenta la spina dorsale di un sistema che, negli ultimi decenni, ha affrontato trasformazioni profonde.
Oggi, la sfida più grande ha un nome preciso: cambiamento climatico. Piogge torrenziali alternate a lunghi periodi di siccità, grandinate sempre più violente, inverni miti e stagioni sfasate mettono in crisi colture che per secoli hanno scandito la vita delle comunità locali.

Per capire come il clima stia cambiando la quotidianità dei campi friulani, abbiamo incontrato Marco Rinaldi, 65 anni, agricoltore di Palmanova, che da oltre quattro decenni lavora la terra. La sua testimonianza, arricchita da ricordi, aneddoti e riflessioni, diventa una lente privilegiata per osservare l’evoluzione di un mestiere antico che oggi si trova a fare i conti con sfide mai viste prima.


L’inizio di una vita nei campi

«Ho cominciato da ragazzino – racconta Marco – aiutando mio padre nella stalla e nei campi di mais. Allora i ritmi erano diversi: si seguivano le stagioni quasi con l’orologio. A marzo si seminava, a luglio si irrigava poco, perché pioveva a sufficienza, e a settembre si raccoglieva. Oggi sembra di lavorare in un altro mondo».

Rinaldi ricorda bene gli anni ’80, quando il Friuli era ancora segnato dalla memoria del terremoto del ’76, ma in agricoltura prevaleva l’ottimismo. «C’era voglia di ricostruire, di investire. Le stagioni erano regolari e l’agricoltura garantiva un reddito dignitoso. Oggi invece passiamo dall’ansia della siccità alla paura delle bombe d’acqua».


Le nuove sfide: siccità e piogge torrenziali

Negli ultimi vent’anni il quadro è cambiato radicalmente. Rinaldi mostra un vecchio quaderno dove annota ancora, giorno per giorno, piogge, temperature e rese dei raccolti. Sfogliando quelle pagine, la differenza è evidente.
«Un tempo registravo 700-800 millimetri di pioggia ben distribuiti nell’anno. Ora mi ritrovo 600 millimetri concentrati in due mesi, e poi quattro mesi di secca assoluta. Come fai a programmare una semina o a irrigare i campi in queste condizioni?».

Gli episodi estremi sono diventati la regola. «Due anni fa – ricorda – una grandinata di dieci minuti ha distrutto tutto il vigneto: foglie sbriciolate, grappoli spappolati. Ho rivissuto quella scena anche l’estate scorsa, con chicchi di ghiaccio grandi come noci. In passato succedeva una volta ogni dieci anni, adesso sembra quasi normale».


I fiumi che non bastano più

Un tempo, il Tagliamento e gli altri corsi d’acqua friulani garantivano irrigazione naturale. Oggi, invece, l’agricoltura deve fare i conti con la scarsità idrica.
«Il Tagliamento lo conosco da bambino: ricordo le giornate in cui andavo con papà a riempire i bidoni. L’acqua c’era sempre. Adesso, a luglio, sembra quasi un torrente in secca. E lo stesso accade per il Torre e il Natisone. I consorzi irrigui fanno miracoli, ma non è più come una volta».


Le stagioni che non esistono più

«Inverno? Una volta gelava per settimane, oggi se arrivano tre giorni sotto zero è già tanto. Primavera? Non la vedo più. Si passa dal freddo al caldo in una settimana. E questo per le piante è un trauma».
Rinaldi porta l’esempio delle viti. «I germogli spuntano troppo presto, e quando arriva una gelata tardiva di aprile li brucia tutti. Poi magari a luglio ti trovi con 40 gradi e grappoli secchi prima del tempo».


L’agricoltura friulana e il rischio economico

Il cambiamento climatico non è solo una questione ambientale, ma anche economica. «Un tempo facevi un piano di spese e sapevi più o meno cosa aspettarti. Adesso investi e rischi di perdere tutto per un temporale improvviso. È come giocare d’azzardo con la natura».
Molti colleghi hanno lasciato i campi, altri hanno scelto di diversificare. «Io ho ridotto il mais, che soffre troppo la siccità, e pianto più soia e girasole, che almeno resistono meglio. Ma non è facile: ogni scelta è un rischio».


Le nuove tecniche e la tecnologia

Nonostante le difficoltà, l’agricoltura friulana prova ad adattarsi. «Ho installato impianti di irrigazione a goccia e uso centraline meteo che mi avvisano di piogge e vento. Ma sono investimenti pesanti, non tutti possono permetterseli».
Rinaldi riconosce però che la tecnologia ha portato vantaggi. «Oggi con il cellulare posso controllare l’umidità del terreno e decidere se irrigare o no. Una volta andavi a occhio. Ma la tecnologia da sola non basta: se l’acqua manca, manca».


Gli aneddoti: ieri e oggi

Uno degli episodi che Rinaldi ricorda con più amarezza è legato al 2003, anno di siccità estrema. «Avevo appena piantato un nuovo frutteto di mele. A luglio non c’era più acqua, le piantine seccavano sotto il sole. Ho perso quasi tutto. È stato il momento in cui ho capito che il clima stava davvero cambiando».
Ma non mancano i ricordi positivi. «Nel 2014, dopo un’estate piovosa, ho avuto un raccolto di uva straordinario: zuccheri alti, acini perfetti. È stata una delle vendemmie migliori. Questo dimostra che la natura sa anche dare, ma bisogna saperla ascoltare».


La voce degli agricoltori

Secondo Rinaldi, uno dei problemi è che il mondo politico ascolta poco chi lavora la terra. «Noi agricoltori siamo i primi a vedere i segni del cambiamento, ma spesso veniamo ignorati. Servirebbero piani seri di gestione dell’acqua, incentivi per chi pianta colture resistenti, più ricerca su varietà adatte ai nuovi climi».


Le prospettive future

Nonostante tutto, Rinaldi non si arrende. «Io credo ancora nell’agricoltura. So che i miei figli forse non continueranno, ma spero che qualcuno raccolga questa eredità. Il Friuli ha una terra fertile, ricca, generosa. Ma dobbiamo cambiare approccio: non possiamo più pensare di coltivare come 40 anni fa».
L’agricoltore indica tre priorità: gestione dell’acqua, ricerca su nuove colture e sostegno concreto agli agricoltori. «Se queste condizioni saranno rispettate, potremo ancora dire che il Friuli è una terra di agricoltura di qualità».

Il racconto di Marco Rinaldi mostra con chiarezza come il cambiamento climatico stia trasformando non solo i paesaggi, ma anche la vita quotidiana delle comunità agricole del Friuli Venezia Giulia. Le sue parole, fatte di ricordi e speranze, diventano un monito: l’agricoltura friulana è in bilico, ma non sconfitta.
È il momento di ascoltare chi la terra la lavora davvero, perché è nei loro occhi, nei loro calli e nelle loro storie che si legge il futuro del nostro territorio.

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