È possibile non farsi trovare da Google? Motivazioni, casi e modalità

Chiunque abbia digitato il proprio nome su Google almeno una volta sa quanto possa essere sorprendente, a volte anche sconcertante, vedere comparire vecchie informazioni, articoli dimenticati, comment...

14 luglio 2025 09:05
È possibile non farsi trovare da Google? Motivazioni, casi e modalità -
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Chiunque abbia digitato il proprio nome su Google almeno una volta sa quanto possa essere sorprendente, a volte anche sconcertante, vedere comparire vecchie informazioni, articoli dimenticati, commenti non più rilevanti o contenuti che non si vorrebbero più associati alla propria identità. E considerando che il motore di ricerca è diventato il principale archivio della memoria pubblica, è normale chiedersi se sia possibile non farsi trovare da Google. E se sì, in che modo?

La risposta a questa domanda è un diritto, uno strumento giuridico che consente di chiedere la rimozione di determinati contenuti dai risultati dei motori di ricerca, quando non rispondono più a un interesse pubblico attuale. Ci concentreremo, nello specifico, su come esercitare il diritto all’oblio su Google, ma lo faremo dal punto di vista tecnico. 

Cosa significa davvero “non farsi trovare” su Google

Quando si parla di sparire da Google, si può erroneamente pensare che sia possibile far cancellare ogni traccia digitale. In realtà, quello che la normativa europea consente di fare è più correttamente una deindicizzazione. Ciò vuol dire che una determinata informazione può continuare a esistere online, ma non sarà più visibile nei risultati di ricerca associati al nome dell’interessato. Non viene cancellata la pagina, ma viene rimossa la correlazione tra quella pagina e la persona in questione, in modo da non danneggiarne la reputazione nel tempo.

Il diritto all’oblio trova fondamento nell’articolo 17 del Regolamento europeo GDPR, che riconosce ai cittadini il diritto di richiedere la cancellazione dei dati personali quando non sono più necessari, quando sono stati trattati illecitamente o quando la loro permanenza online risulta sproporzionata rispetto all’interesse pubblico. Ma non si tratta di un diritto assoluto: ogni richiesta viene valutata caso per caso e, soprattutto, viene bilanciata con altri diritti, come quello alla libertà di informazione.

Ci sono, però, delle condizioni: il contenuto deve essere irrilevante, datato, potenzialmente lesivo della reputazione e privo di attualità informativa. Questo vale soprattutto quando il contenuto in questione è legato a fatti giudiziari superati, vicende private non più d’interesse pubblico o dati diffusi senza consenso.

Il ruolo della giurisprudenza e le responsabilità dei motori di ricerca

Il principio alla base del diritto all’oblio è stato definitivamente chiarito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la storica sentenza del 2014, nota come caso Google Spain. In quell’occasione venne stabilito che Google e altri motori di ricerca sono responsabili del trattamento dei dati personali presenti nei loro risultati e che devono agire quando ricevono richieste legittime di deindicizzazione.

È stato un cambio di rotta molto forte riguardo la privacy online, perché ha trasformato i motori di ricerca da meri strumenti passivi in soggetti chiamati ad assumersi una parte di responsabilità.

Da allora, il modulo online messo a disposizione da Google per l’Europa permette a chiunque di chiedere la rimozione di uno o più URL ritenuti inappropriati. Il processo non è istantaneo e non è garantito.

Serve motivare in modo chiaro e preciso perché quei contenuti non rispondono più a un interesse pubblico, allegare la documentazione richiesta e indicare quale danno ne deriverebbe. Le richieste vengono analizzate da un team interno che valuta se la domanda sia conforme ai principi stabiliti dal GDPR.

Limiti concreti, strumenti disponibili e conclusioni pratiche

Nella pratica, il diritto all’oblio ha confini ben precisi. Non può essere usato per cancellare informazioni vere di rilevante interesse pubblico, come ad esempio quelle che riguardano soggetti in ruoli istituzionali o fatti recenti di cronaca. Non può servire a riscrivere la propria biografia digitale per fini meramente opportunistici. Le domande vengono respinte quando manca un presupposto giuridico chiaro o quando la richiesta è eccessivamente generica.

Quando Google rigetta una richiesta, è comunque possibile rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali o intraprendere un’azione legale. In Italia, l’autorità si è già espressa più volte su casi simili, stabilendo che ogni circostanza va valutata in relazione alla posizione del soggetto, all’età della notizia e al rischio reputazionale che essa comporta. In pratica, quindi, non esiste un automatismo, ma una continua ricerca di equilibrio tra diritto all’informazione e diritto alla riservatezza.

In conclusione, non farsi trovare da Google è possibile, ma non in modo assoluto. Il diritto all’oblio offre una protezione per tutelare i cittadini da un’esposizione permanente e sproporzionata. Ma per ottenere risultati, bisogna motivare bene la richiesta: la rete ha memoria lunga, ma non è detto che debba avere diritto all’ultima parola.

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