Il Sudan sta tornando ai massacri con armi chimiche?
Scene tragiche si ripetono nella regione del Darfur, nell’ovest del Sudan, mentre l’esercito sudanese intensifica i raid aerei contro i civili, provocando centinaia di morti e feriti. Nel frattempo, c...
Scene tragiche si ripetono nella regione del Darfur, nell’ovest del Sudan, mentre l’esercito sudanese intensifica i raid aerei contro i civili, provocando centinaia di morti e feriti. Nel frattempo, circolano rapporti sull’uso di armi chimiche durante i bombardamenti aerei, suscitando il timore di una ripetizione dello scenario di genocidio già vissuto durante la precedente guerra nella regione.
Organizzazioni per i diritti umani e volontarie in Sudan hanno riferito che l’esercito sudanese ha utilizzato armi chimiche durante il bombardamento aereo sulla zona di Tura, nello Stato del Darfur Settentrionale, provocando la morte e il ferimento di centinaia di civili, oltre alla completa distruzione di un mercato locale in cui si radunavano i residenti dei villaggi per scambiarsi beni e procurarsi ciò di cui avevano bisogno.
L’aviazione dell’esercito sudanese ha preso di mira la cittadina di Tura, una zona remota priva di presidi militari, ma dotata di un mercato aperto soltanto una volta a settimana, dove la popolazione si riuniva per vendere e comprare beni di prima necessità. L’episodio ha suscitato ampie condanne a livello locale e internazionale, accompagnate da immagini scioccanti che mostrano il mercato completamente incendiato e centinaia di corpi bruciati ammucchiati.
In un comunicato di lunedì, il portavoce del Coordinamento dei profughi e dei rifugiati in Sudan, Adam Regal, ha dichiarato che le vittime dell’attacco aereo nella zona di Tura ammontano a 350 persone, perlopiù donne e bambini, oltre a decine di feriti che non hanno potuto ricevere cure a causa della mancanza di strutture sanitarie adeguate.
Ha aggiunto che “i missili usati nel bombardamento erano estremamente caldi e probabilmente contenevano sostanze chimiche”. Ha poi sottolineato: “Non è la prima volta che vengono utilizzate armi chimiche in Darfur; sono stati documentati casi precedenti, il più rilevante dei quali risale al 2016 nella zona di Jebel Marra, come attestato da Amnesty International”.
Casi di avvelenamento
Secondo Adam Regal, nella serata di domenica 29 marzo, l’esercito sudanese ha bombardato con due missili i campi profughi di Shangil Tobay, nella regione del Darfur. L’attacco ha causato il ferimento grave di cinque sfollati, oltre a devastare le infrastrutture e le abitazioni. “Gli abitanti hanno riportato casi di avvelenamento e i missili non sono esplosi”, ha affermato Regal, “ma l’esercito sudanese continua i suoi attacchi contro i civili, con un comportamento atroce e ingiustificabile, di giorno e di notte”. Ha inoltre sottolineato come “l’utilizzo di armi pesanti e di materiali chimici contro persone affamate, prive di medicinali, acqua e riparo, sia estremamente deplorevole”.
Il Coordinamento generale dei campi per sfollati e rifugiati ha condannato i raid aerei, definendoli “sistematici e stragi deliberate” contro civili inermi, perpetrate dall’esercito sudanese in maniera organizzata, si legge nel comunicato.
La settimana scorsa, un rapporto del quotidiano statunitense “The New York Times” ha rivelato dettagli sul massacro commesso dall’aviazione sudanese nella cittadina di Tura, definendolo un crimine che si aggiunge ad altre atrocità segnalate in Darfur. L’analisi del giornale, basata sui filmati che mostrano diversi punti di terra bruciata nel mercato, fa pensare a esplosioni multiple. In un video girato sul luogo dell’incidente, un testimone ha riferito che quattro missili hanno colpito il mercato: uno al centro e tre ai margini. Il quotidiano americano ha inoltre ricordato che l’esercito sudanese è stato spesso accusato di bombardamenti indiscriminati nelle aree controllate dalle Forze di Supporto Rapido, con decine di morti in un solo attacco, soprattutto nella regione del Darfur.
Condanna internazionale
Commentando il massacro del mercato di Tura, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha dichiarato la scorsa settimana di essere “profondamente scioccato dalle notizie di centinaia di civili uccisi e dozzine di feriti a seguito di raid aerei da parte delle Forze Armate Sudanesi su un mercato affollato nel villaggio di Tura, nel Darfur Settentrionale”. Ha aggiunto: “Il mio ufficio ha saputo che 13 delle vittime appartenevano alla stessa famiglia e che alcuni feriti non hanno potuto essere curati per la grave mancanza di accesso all’assistenza sanitaria”. Ha poi sottolineato che, nonostante i suoi reiterati avvertimenti e appelli a proteggere i civili, in linea con il diritto internazionale umanitario, i civili continuano a subire quotidianamente uccisioni e ferimenti indiscriminati, oltre a maltrattamenti, mentre gli obiettivi civili rimangono costantemente nel mirino.
Da parte sua, in un comunicato, le Forze di Supporto Rapido sudanesi hanno condannato l’utilizzo, da parte di quello che definiscono “l’esercito del movimento islamico terrorista”, di armi chimiche nelle aree civili e nei campi profughi della zona di Shangil Tobay, a sud della città di Al-Fashir, capitale del Darfur Settentrionale, considerandolo una grave violazione di tutte le leggi e convenzioni internazionali, nonché un brutale attacco ai diritti umani. Il comunicato ha segnalato “l’insistenza dell’esercito sudanese nell’utilizzo di armi proibite a livello internazionale”, già denunciata in rapporti statunitensi pubblicati a partire da gennaio scorso. Tali rapporti, basati su informazioni fornite da quattro alti funzionari americani, confermerebbero che “l’esercito sudanese” ha impiegato più volte armi chimiche in varie regioni. “L’uso di armi vietate a livello internazionale equivale a un crimine di genocidio a tutti gli effetti, costituisce un crimine contro l’umanità e mette in pericolo la vita di civili innocenti, causando sofferenze fisiche e psicologiche di lunga durata. Rappresenta inoltre una violazione clamorosa di trattati e accordi internazionali, in particolare della Convenzione sulle armi chimiche”, si legge nel testo.
Le Forze di Supporto Rapido sudanesi hanno invitato la comunità internazionale ad assumere una posizione ferma contro tali crimini e violazioni, chiedendo la protezione degli sfollati e dei rifugiati in Darfur. Hanno inoltre sollecitato l’apertura di un’indagine urgente per ritenere responsabili gli autori di questi crimini e assicurare la protezione dei civili da simili azioni gravissime.
Uso precedente di armi chimiche in Sudan
L’utilizzo di armi chimiche da parte dell’esercito sudanese non è una novità. In passato, infatti, diverse organizzazioni per i diritti umani lo avevano già accusato di averle impiegate durante la guerra nel Darfur, scoppiata nel 2003 e durata oltre 17 anni. A metà gennaio 2025, il quotidiano “The New York Times” ha riportato le dichiarazioni di quattro fonti statunitensi, secondo cui l’esercito sudanese avrebbe usato armi chimiche almeno due volte dall’inizio del conflitto, nell’aprile 2023. All’epoca, il giornale precisò che l’esercito sudanese avrebbe fatto ricorso a queste armi in zone remote del Paese contro le Forze di Supporto Rapido, mentre gli americani temono che possano venire impiegate anche in aree densamente popolate della capitale Khartoum. La “New York Times” aggiunse che la conoscenza del programma di armamenti chimici sudanese è limitata a un gruppo ristretto all’interno dell’esercito e che lo stesso generale Al-Burhan avrebbe autorizzato l’utilizzo di tali armi contro le Forze di Supporto Rapido.
Nel 2016, un’inchiesta di Amnesty International ha raccolto prove inquietanti dell’uso ripetuto di quelle che si ritiene fossero armi chimiche contro i civili, compresi bambini molto piccoli, da parte dell’esercito sudanese in una delle aree più remote del Darfur, nel corso di otto mesi. L’indagine si basò su immagini satellitari, oltre 200 interviste approfondite con superstiti e l’analisi di esperti su decine di foto raccapriccianti che mostravano neonati e bimbi piccoli con lesioni atroci. Secondo tale inchiesta, almeno 30 attacchi chimici avrebbero colpito l’area di Jebel Marra, nel Darfur, da gennaio 2016.
L’attuale guerra in Sudan è scoppiata nel 2023, dopo mesi di crisi che hanno travolto il Paese in seguito al colpo di Stato dell’esercito contro il governo civile guidato da Abdullah Hamdok. È stato lo stesso Hamdok a definire quel colpo di Stato come l’evento che ha “spianato la strada all’attuale conflitto”. Da allora, il Sudan è teatro di violazioni gravissime, ed è precipitato in una delle peggiori crisi umanitarie al mondo: secondo l’ONU, 30 milioni di persone sono prive di cibo e 15 milioni sono sfollate o costrette alla fuga.
A differenza delle Forze di Supporto Rapido, sostenute dalle forze civili, l’esercito sudanese respinge ogni iniziativa di soluzione pacifica e insiste nel portare avanti la guerra e le atrocità, spingendo molti Paesi, tra cui gli Stati Uniti, a imporre sanzioni nei confronti dello stesso esercito e del suo comandante, Abdel Fattah al-Burhan.