TRIESTE – Augusto Meran, il dominicano che il 4 ottobre 2019 uccise in Questura i due agenti Matteo Demenego e Pierluigi Rotta, resta ancora in carcere, a Verona perché non c’è in Italia una Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), disponibile. Lo riporta il quotidiano Il Piccolo stamani in edicola.
Le Rems sono le strutture che, in base alla legge 81 del 2014 hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari, ed è in una di queste che Meran dovrebbe essere trasferito – in quanto «persona non imputabile» – come indicato dalla sentenza di assoluzione pronunciata il 6 maggio scorso dal giudice della Corte di Assise Enzo Truncellito. Per il giovane, infatti, era stato indicato «un vizio totale di mente» e una condizione «di delirio persecutorio tale da escludere totalmente la capacità di volere» dalla perizia psichiatrica incaricata dalla Corte a Stefano Ferracuti, ordinario di Psicopatologia Forense della facoltà di Medicina dell’università La Sapienza di Roma.
Il Piccolo ha anche sentito sul caso il Procuratore capo di Trieste, Antonio De Nicolo, il quale ha spiegato che «formalmente Meran non dovrebbe rimanere in carcere ma siccome è stato ritenuto pericoloso, si attende un posto in una Rems. L’alternativa sarebbe liberarlo». Dunque, una “situazione di stallo che dimostra la clamorosa inefficienza del sistema delle Rems in Italia”. La ricerca di un posto è tuttavia, ha garantito, “all’attenzione costante del ministero”.
CASO MERAN: ANCORA PIU’ COLPEVOLE NON CAMBIARE UN SISTEMA SBAGLIATO
Un’aggressione terminata nella peggiore delle maniere, quella degli agenti Pierluigi Rotta e Matteo Demenego e una (in)Giustizia italiana che mostra tutti i suoi limiti e le sue fragilità proprio nella sentenza del processo Meran.
Purtroppo era tutto terribilmente prevedibile, ma fino all’ultimo momento tutti hanno sperato che andasse in modo diverso, ma così non è stato: non è stato nemmeno eseguito quanto è stato deciso.
Oggi un pluriomicida acclarato, assolto dalle leggi italiane per le sue azioni, è detenuto in un carcere per condannati, perché lo Stato non è stato in grado dopo più di due mesi di trovare una collocazione idonea.
Sia chiaro, una sistemazione prevista per legge e indicata nella sentenza, adatta per le sue condizioni psichiatriche.
Una “Giustizia” questa, “compresa” e “percepita” praticamente da nessuno che mostra tutte le sue falle in questa tragica vicenda.
Una “Giustizia” che inevitabilmente va a scontrarsi anche con le esigenze della “Sicurezza”, tanto evocata dalla gente comune, che ha il diritto del quotidiano vivere sereno e pacifico.
Situazioni come queste, ma anche l’attuale “incertezza” della pena per chi commette dei reati, minano la credibilità della “Giustizia” italiana e rendono fragile anche un apparato Sicurezza, che appare sempre più con le “armi spuntate”.
E’ indubbio che c’è un’impreparazione nel sistema a gestire situazioni simili.
In questa vicenda tutti sono perdenti e malgrado siano passati dei mesi, non si danno ancora delle risposte alle vittime che hanno sacrificato con la vita il loro servizio allo Stato, ai loro familiari, ai “sopravvissuti” di quel triste giorno, ma anche a tutta quella gente che crede nei valori della Giustizia e della Sicurezza.
Una domanda sporge spontanea, considerati i tempi biblici di una “Giustizia” che appare anacronistica con la velocità della vita e le esigenze attuali, perché non si è accertato con anticipo la disponibilità di posti nelle “Rems”?
E’ evidente e non procrastinabile un cambiamento di questo “sistema” che così com’è, non accontenta nessuno.
Ancora più colpevole, dopo quanto accaduto, sarebbe non far nulla per cambiare quanto oggi è evidentemente lacunoso, sbagliato e non a passo con le esigenze dei tempi.
Lorenzo Tamaro – Segretario Provinciale SAP