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La truffa dei cuccioli di “allevamento amatoriale” che arrivavano dall’estero: 4 persone rinviate a giudizio

La redazione
Ultimo aggiornamento 11 Maggio 2022 14:45
La redazione
3 anni fa
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TRIESTE. Nell’arco temporale settembre 2020 – marzo 2022, un “pool” di investigatori della Squadra Mobile della Questura giuliana, della Compagnia Guardia di Finanza di Muggia, del Nucleo di Polizia Ambientale presso il Corpo della Polizia Locale di Trieste e del Corpo della Polizia Locale di Muggia, coordinato dal Procuratore della Repubblica di Trieste e dal Sostituto Procuratore dott.sa Chiara DE GRASSI, titolare del fascicolo processuale, ha condotto delle indagini su dei soggetti dediti all’importazione illegale dall’estero di cuccioli di cani in violazione della vigente normativa di riferimento.

Il fenomeno investigato risulta sempre più ricorrente e rappresenta un’importante fonte di reddito per diverse organizzazioni perlopiù operanti nell’est Europa; i cuccioli nati in quegli Stati esteri raggiungono l’Italia prima di aver completato lo svezzamento e senza alcuna certificazione sanitaria e d’identificazione. In seguito, attraverso soggetti che si occupano di “piazzarli” sul mercato nazionale, i cani vengono muniti di pedigree artatamente contraffatti e quindi ceduti agli ignari acquirenti finali.

Prima di essere immessi nella filiera di vendita, ai cuccioli, generalmente recuperati nelle zone di confine tra Italia e Slovenia, venivano inoculati i previsti microchip e praticate le relative vaccinazioni; successivamente, allo scopo di aumentarne il valore di mercato, agli stessi venivano attribuiti dei certificati di razza falsi o riportanti indicazioni non veritiere tali da favorirne l’acquisto da parte di acquirenti finali disposti a corrispondere anche svariate migliaia di euro per accaparrarsi quelli che vengono “spacciati” come cuccioli di razza dall’alta genealogia.    

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Le indagini hanno avuto origine da una segnalazione pervenuta dall’Ufficio Zoofilo del Comune di Trieste che, nel periodo luglio – settembre 2020, aveva registrato un’improvvisa e sproporzionata compravendita di cani di razza Barboncino ad opera di alcuni soggetti residenti a Muggia.

Gli accertamenti esperiti portavano gli investigatori ad identificare una sessantenne residente a Muggia (TS) che, coadiuvata dal figlio e dal nipote, aveva avviato un allevamento amatoriale, non formalmente registrato, attraverso il quale risultava aver ceduto, nell’arco di poco tempo, decine e decine di barboncini.

Attraverso le piattaforme “e-commerce” della rete internet, gli animali venivano venduti agli acquirenti provenienti da tutta Italia ed anche dall’estero, disposti a pagare cospicue somme pur di acquistare il desiderato cane di razza pregiata.

Nel corso degli accertamenti effettuati, gli investigatori riscontravano come il volume di vendite di cuccioli collegabili al piccolo allevamento domestico attenzionato, fosse del tutto sproporzionato rispetto alle reali possibilità di alimentare il mercato attraverso una propria produzione.

Sorgeva quindi il sospetto che l’approvvigionamento dei cuccioli potesse derivare da “forniture” estere, così come peraltro successivamente accertato attraverso un’operazione congiunta svolta dalla polizia slovena e da quella italiana nel mese di ottobre 2020 nei pressi del valico confinario di Crevatini (Muggia).

In tale circostanza la polizia slovena sottoponeva a controllo stradale un cittadino ungherese che, all’interno del veicolo condotto, aveva stipato decine di barboncini seguiti da documentazione anagrafica e sanitaria risultata essere contraffatta. Nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, personale delle Forze di Polizia, intervenuto su input dei colleghi d’oltre confine, identificava in territorio italiano il nipote della sessantenne muggesana, il quale era in procinto di ricevere gli animali dal cittadino magiaro controllato in territorio sloveno.   

Le perquisizioni delegate dall’Autorità Giudiziaria a seguito delle prime risultanze investigative acquisite nei confronti delle tre persone sospettate, consentivano di rinvenire e sottoporre al vincolo del sequestro penale numerosa documentazione cartacea ed apparecchi telefonici nei quali sono stati rilevati elementi utili alle indagini.

In particolare, dall’analisi dei dati contenuti nella memoria degli smartphone, operata con sofisticate strumentazioni informatiche, la scrupolosa disamina della documentazione cartacea, nonché l’accesso all’Anagrafe dei Rapporti Bancari ed il successivo sviluppo delle indagini finanziarie, hanno consentito di ricostruire tutti i flussi finanziari relativi tanto agli introiti connessi alla vendita degli animali quanto agli importi destinati a soggetti dell’est Europa che si occupavano del materiale approvvigionamento dei cuccioli, permettendo di ricostruire, per il periodo temporale compreso tra la metà dei mesi di luglio 2020 e novembre 2020, una settantina di cessioni di cani a fronte di un guadano prossimo ai 130.000 Euro.

L’accurata disanima del materiale sequestrato e l’altrettanto approfondita analisi di tabulati telefonici riferiti alle utenze in uso agli indagati, consentivano agli investigatori di risalire alle generalità di una quarantenne pisana, titolare di un allevamento di cani sito proprio in provincia di Pisa, che è risultata ricoprire un ruolo primario nell’attività illecita investigata.

Era lei, infatti, che intratteneva contatti con diversi soggetti stanziali all’estero – tra cui figurava il cittadino ungherese controllato dalla polizia slovena nell’area confinaria di Trieste – ai quali inviava cospicue somme di denaro, facendo così giungere i cuccioli in Italia. Gli animali, una volta prelevati da soggetti di fiducia della donna, venivano quindi consegnati alla stessa che li “dotava” di certificati di razza falsi e riconducibili all’ente serbo affiliato alla Federazione Cinologica Internazionale. Nello specifico, i falsi pedigree, venivano all’occorrenza compilati, spesso a penna, per la parte relativa all’identificazione univoca del cucciolo (microchip inoculato e dati del nuovo proprietario). Grazie a questi pedigree, che facevano aumentare grandemente il valore dei cani, i futuri ed ignari proprietari venivano informati riguardo la possibile conversione o, più tecnicamente, trascrizione nei Libri genealogici italiani tenuti dall’Ente Nazionale della Cinofilia Italiana al fine di partecipare a manifestazioni ufficiali.

Proprio grazie all’importante collaborazione offerta dai vertici dell’E.N.C.I., gli inquirenti accertavano l’esistenza di numerose richieste di trascrizione nel Libro delle Origini relative a barboncini aventi pedigree serbo ma recanti microchip italiano, circostanza, di fatto, contraria ad un recente articolo introdotto nel “Regolamento internazionale di allevamento della FCI” che stabilisce come una cucciolata debba essere registrata presso il paese membro o partner su contratto nel quale il suo allevatore ha la residenza legale e dove la cucciolata risulti essere nata.

A fronte di tali evidenze, la Commissione Tecnica Centrale dell’E.N.C.I., a tutela e garanzia dell’autenticità di razza, approvava norme ancor più stringenti in ordine alle richieste di trascrizione pervenutegli, disponendo di non doversi procedere per tutti quei soggetti aventi pedigree stranieri ma riportanti microchip con codifica italiana.

Le nuove risultanze investigative acquisite, consentivano all’Autorità Giudiziaria procedente di emettere ulteriori decreti di perquisizione che venivano eseguiti, nel mese di dicembre 2021, in provincia di Pisa e Lucca. In tali luoghi, infatti, risultavano dimorare la titolare dell’allevamento toscano ed altre due persone che, seppur non fossero sottoposte ad indagine, avevano avuto rapporti di collaborazione con l’allevatrice.   

Presso il citato allevamento venivano sequestrate decine di cuccioli di Barboncino privi di sistemi d’identificazione, numerosissimi pedigree serbi precompilati per cani di razza “Barboncino” (in attesa, evidentemente, di essere attribuiti ai cuccioli con microchip italiano), farmaci ad uso esclusivo veterinario, siringhe per inoculazione di microchip esteri (anch’esse illecitamente detenute poiché ad uso esclusivo veterinario), alcuni apparecchi telefonici, sim card intestate a soggetti di comodo, nonché documentazione bancaria relativa a bonifici finalizzati all’acquisto di cuccioli e disposti dall’indagata, all’occorrenza anche attraverso dei prestanome, in favore di soggetti residenti all’estero.

La successiva attività di analisi di tutto il materiale rinvenuto nel corso delle perquisizioni eseguite, permetteva di acquisire ulteriori fonti di prova in relazione alle dinamiche afferenti la tratta dei cani, delineando marcatamente i ruoli assunti dai compartecipi nella predetta filiera illecita.

La conclusione delle indagini:             

Il rilevante risultato ottenuto dalle indagini condotte, corroborate da una moltitudine di dati oggettivi frutto di intensi mesi di analisi, elaborazione di riscontri e servizi di p.g. effettuati, ha consentito al P.M. titolare del fascicolo processuale di emettere un avviso di conclusione indagini a carico di quattro persone, ossia:

–        R. R., classe ’79, residente in provincia di Pisa, ritenuta essere l’elemento di unione tra i soggetti stranieri e le persone che operavano direttamente in questa provincia ed, in particolare, nel comune di Muggia;

–        M. P., classe ’60, residente a Muggia e deputata alla vendita dei cuccioli ai clienti finali;

–        U. M., classe’93, residente a Muggia, figlio di M. P., stabilmente coinvolto nell’attività illecita coordinata dalla madre;

–        M. M., classe ’71, residente a Trieste, nipote di M. P., anch’egli pienamente coinvolto negli affari illeciti accertati.

I soggetti identificati nel corso delle indagini esperite, da ritenersi presunti innocenti fino ad un definitivo accertamento di colpevolezza con sentenza irrevocabile, sono stati rinviati a giudizio per i reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di animali da compagnia e truffa continuata (delitto, quest’ultimo, per il quale sono state ricevute 13 denunce / querele sporte da altrettanti acquirenti di cuccioli aventi pedigree contraffatti o, comunque, non trascrivibili al Libro genealogico E.N.C.I.). 

Gli accertamenti di natura fiscale svolta nei confronti di M. P., hanno consentito di procedere al recupero della tassazione dei proventi di natura illecita, derivanti dalla vendita dei cuccioli, consistenti in circa 150.000,00 Euro ai fini delle imposte dirette, nonché alla conseguente contestazione di IVA per una cifra prossima ai 30.000,00 Euro.

TAGCuccioliMuggiaTriesteTruffa
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