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CronacaNotizieVeneto

Grave errore subito durante un’operazione: risarcita dall’Asl con 180mila euro

La redazione
Ultimo aggiornamento 29 Gennaio 2021 12:21
La redazione
4 anni fa
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Per tutta la vita dovrà fare i conti con i gravi postumi invalidanti conseguenti a quel fatale intervento, ma almeno, dopo una battaglia ultra-decennale, ha ottenuto un equo risarcimento dall’Asl 3 veneziana, di ben 180mila euro. Vittima del comprovato caso di malpractice medica una 71enne di Mirano, che all’epoca ne aveva 59.

La donna soffriva di una lombalgia, trattata fino al 2009 con terapie conservative e infiltrazioni con ozono. A causa dell’aggravarsi della patologia, il 13 febbraio di quell’anno si è sottoposta a una risonanza magnetica lombosacrale che ha evidenziato un’ernia discale paramediana sinistra L4-L5. Ricoverata nella Neurochirurgia dell’ospedale dell’Angelo di Mestre, il 20 marzo 2009 è stata sottoposta a un intervento di erniectomia e discectomia L4 L5.

L’operazione si era svolta senza problemi all’apparenza ma fin dal risveglio dall’anestesia è parso chiaro che qualcosa non era riuscito: la paziente presentava un evidente deficit di mobilità e la totale paralisi della flessione dorsale del piede sinistro, rilevata anche dalla visita fisiatrica dell’indomani: nella diaria infermieristica è stato annotato che non riusciva a muoversi.

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Il 26 marzo è stata trasferita nel reparto di Neurologia di Mirano con la prescrizione di farmaci e cicli di fisioterapia, ma anche dal nosocomio miranese è stata dimessa, l’1 aprile 2009, con la diagnosi “sofferenza radicolare L5 sinistra in paziente recentemente operata per ernia discale”. Non avrebbe più recuperato, anzi: nel 2013 una visita neurochirurgia ha rilevato il netto peggioramento dei deficit stenici all’arto inferiore sinistro, non limitati a quello completo in L5 ma estesisi anche a S1 e L4, con deficit clinici del 95% e 75-80%. Oggi la danneggiata accusa parestesie e iposensibilità alla gamba sinistra dal ginocchio al piede, pesanti limitazioni funzionali delle articolazioni tibio-tarsica, medio tarsica e sotto astragalica sinistra e gravi deficit della deambulazione: riesce a spostarsi solo a piccoli passi e con appoggi per brevi tragitti, deve utilizzare un tutore e l’Ipns le ha riconosciuto un’invalidità civile del 100%.

Per essere risarcita dei gravi danni fisici e morali patiti ma anche patrimoniali, avendo dovuto spendere una fortuna tra visite e terapie, la donna, tramite il responsabile della sede di Dolo, Riccardo Vizzi, si è affidata a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e tutela dei diritti dei cittadini, che ha vagliato tutta la documentazione clinica con i propri esperti medico legali giungendo alla conclusione che il deficit stenico al piede sinistro e il danno irreversibile alla radice di L5 erano senz’altro conseguenza di manovre inadeguate effettuate durante l’intervento del 20 marzo 2009. Sono stati perciò chiesti i danni all’Azienda sanitaria veneziana, ma ogni tentativo di raggiungere una soluzione stragiudiziale si è scontrato contro il muro della controparte che denegava ogni responsabilità. Di qui la decisione di presentare ricorso al Tribunale di Venezia per una consulenza tecnica preventiva, l’Atp, per svolgere la quale il presidente della seconda sezione civile, dott. Roberto Simone, ha incaricato il dott. Calogero Nicolai, medico legale, e il dott. Alessandro Zalaffi, specialista in Neurologia e Neurochirurgia. E i due consulenti sono giunti alle medesime conclusioni dei professionisti di Studio3A.

Secondo i Ctu la paziente è rimasta vittima di una “condotta inadeguata e quindi censurabile in ambito medico legale posta in essere dai sanitari che l’ebbero in cura al reparto di Neurochirurgia dell’U. C. di Mestre e foriera di un significativo peggioramento del quadro clinico preesistente. Non c’è alcun dubbio che vi fu una lesione iatrogena durante l’intervento del 20 marzo 2009, atto operatorio a cui è conseguita una lesione irreversibile, a carattere francamente invalidante, della radice nervosa di L5”: lesione attribuibile “a innegabile malpractice medica” e determinata con alta probabilità all’eccessiva o troppo prolungata trazione della radice L5 per eseguire l’erniectomia. Ma i due periti hanno espresso riserve anche sul decorso post-operatorio: “ciò che sorprende – scrivono – è che fu deciso di mantenere a letto questa paziente ad alto rischio cardiovascolare per ben 4 giorni e che tale decisione fosse già stata presa poche ore dopo che si era risvegliata. Nella diaria del pomeriggio del 20 Marzo è annotato: non si alza per qualche giorno. Sorprende anche che, dinanzi a un netto peggioramento del quadro clinico nel post-operatorio, i sanitari non si siano preoccupati e non abbiano ritenuto necessario richiedere un esame per immagini per approfondire e cercare di capirne il motivo. L’impressione è che fossero ben consapevoli del motivo per il quale si era verificato questo aggravamento e che pertanto non fosse a loro necessario alcun approfondimento”. “A fronte della patologia preesistente, attraverso un ragionamento contro-fattuale, e qualora la paziente fosse stata operata con l’imprescindibile attenzione e diligenza e perciò ottenuto l’auspicato successo terapeutico – concludono – siamo nelle condizioni di affermare che comunque sarebbe residuato un danno alla persona intimamente connesso con quel particolare atto operatorio pari al 10%. Viceversa, oggi siamo in presenza di un danno alla persona quale biologico permanente da indicare come pari e non inferiore al 30%. Trattasi, quindi, quale diretta conseguenza di malpractice medica, di sostanziale e non trascurabile peggioramento da danno iatrogeno alias danno incrementativo del 20%, che dovrà essere doverosamente collocato nella fascia di nocumento alla persona compresa tra l’11% e il 30%”.

I due Ctu hanno quantificato il danno in un prolungamento del periodo di malattia e di convalescenza di 90 giorni, un danno permanente alla preesistente invalidità psicosomatica (il danno biologico) del 20%, hanno riconosciuto anche un’invalidità lavorativa parziale permanente specifica riferita all’attività di casalinga da valutare come il biologico, e perciò pari al 20%, e un grado di sofferenza patito durante il corso della malattia iatrogena come marcato nella fase acuta, ritenendo anche congrue e pertinenti tutte le spese mediche sostenute. Di fronte a queste inconfutabili risultanze, l’Asl 3 e la sua compagnia assicurativa hanno finalmente deciso di transare il danno con Studio3A onde evitare una causa che avrebbero certamente perduto, e che avrebbe altresì allungato di altri mesi, se non anni, il calvario della paziente e si è così arrivati alla definizione di un risarcimento di 180mila euro

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