Giornali sotto pressione: cosa insegna il caso Gedi e il futuro dell’informazione in Italia
Dossier dicembre 2025: crisi dei giornali, caso Gedi-La Stampa e idee concrete per innovare l’editoria online.
UDINE – L’editoria italiana arriva a dicembre 2025 con una fotografia che non si presta a letture romantiche: non è “una fase”, ma una trasformazione che sta cambiando il mestiere, i conti economici, il rapporto con il pubblico e la stessa idea di quotidiano. In questo contesto, il recente caso che coinvolge La Stampa, la Repubblica e il gruppo Gedi non è solo una cronaca industriale, ma un segnale: quando il settore perde stabilità, anche i marchi storici entrano in una logica di portafoglio, con conseguenze su occupazione, indipendenza editoriale e pluralismo. (Reuters)
È un passaggio che interessa da vicino anche chi fa informazione digitale nel Nordest, dalle testate regionali ai progetti iperlocali: perché oggi la differenza tra sopravvivere e crescere non la fa la quantità di articoli pubblicati, ma la capacità di costruire fiducia, canali proprietari, ricavi meno volatili e un prodotto percepito come utile dalla comunità.
Un settore in trasformazione: il modello classico non regge più
Per capire perché i giornali sono in difficoltà bisogna partire da una verità semplice: il vecchio equilibrio “copie + pubblicità” non torna più. I numeri confermano una tendenza strutturale, non un inciampo momentaneo.
Nel 2024, considerando le testate rilevate da ADS, le copie complessivamente vendute sul territorio nazionale sono state 572 milioni, con una media di circa 1,7 milioni di copie giornaliere, in calo su base annua. La componente cartacea, pari a 423 milioni, ha registrato una flessione ancora più marcata. (AGCOM)
Questo dato, da solo, spiega la pressione che grava sulle redazioni: meno copie significa meno ricavi diretti; meno ricavi significa meno risorse; meno risorse significa più difficoltà a presidiare territorio, verificare, approfondire, innovare.
A rendere il quadro più complesso è la dinamica della pubblicità: gli investimenti seguono l’attenzione delle persone, ma l’attenzione online non si traduce automaticamente in ricavi per gli editori. Tra tecnologia, targeting e piattaforme, una parte significativa del valore si concentra altrove; agli editori resta spesso l’ultimo miglio, quello più competitivo e con margini più sottili.
Il caso La Stampa e Gedi: perché la trattativa è diventata un caso nazionale
In questi giorni di dicembre 2025, il gruppo Gedi (controllato da Exor) ha confermato una trattativa con il gruppo greco Antenna per la vendita di asset editoriali e radiofonici, in un clima che ha acceso l’attenzione politica e sindacale.
La vicenda è esplosa anche sul piano simbolico: La Stampa, testata legata storicamente a Torino, è diventata il punto più delicato del dossier, perché – secondo quanto riportato – l’acquirente sarebbe più interessato ad altri asset e la testata potrebbe finire in un percorso separato.
Redazioni in agitazione: “identità” e garanzie al centro
La reazione dei giornalisti è stata immediata, con scioperi e iniziative di protesta. Da un lato c’è la richiesta di chiarezza sul progetto industriale; dall’altro la preoccupazione per la tenuta dell’occupazione e della linea editoriale.
In un comunicato riportato dalla Fnsi, l’assemblea dei giornalisti della Repubblica parla di “profondo sconcerto” e annuncia lo stato di agitazione, spiegando di essere pronta a “combattere con ogni strumento a nostra disposizione” per tutele e garanzie. (FNSI)
È un passaggio che, al di là delle appartenenze, fotografa un punto chiave: nell’informazione di fine 2025 il valore industriale di una testata non è solo il traffico, ma anche la sua credibilità e la percezione di indipendenza.
Il ruolo del governo: trasparenza e indipendenza editoriale
La politica, a sua volta, è entrata nella discussione. In una ricostruzione Reuters, il sottosegretario con delega all’editoria Alberto Barachini ha chiesto “massima trasparenza” nella negoziazione e garanzie su “occupazione” e “indipendenza editoriale”.
Nello stesso quadro viene richiamato il tema del “golden power” sui media come asset strategico, con un dettaglio importante: è uno strumento che può imporre condizioni o bloccare alcune operazioni, ma non nasce per tutelare direttamente i posti di lavoro.
A rendere l’atmosfera ancora più densa di significati, anche voci esterne al mondo della stampa hanno espresso un giudizio pubblico: su RaiNews viene riportata, tra le altre, una riflessione di Pier Silvio Berlusconi, che definisce la notizia “stranita” e aggiunge che “un po’ dispiace” vedere pezzi di storia dell’editoria in mani straniere. (RaiNews)
Perché questa vicenda riguarda anche chi fa informazione digitale
L’errore più comune, di fronte a un caso come Gedi–La Stampa, è pensare: “Sono dinamiche dei grandi gruppi, non ci toccano”. In realtà, la lezione è molto più ampia e arriva dritta anche alle testate online locali e regionali.
Il punto non è solo la proprietà, ma il fatto che in un mercato fragile la sostenibilità tende a essere cercata con strumenti rapidi: tagli, accorpamenti, riorganizzazioni, cessioni. Quando la coperta è corta, si rischia di trasformare l’informazione in un prodotto “a rendimento”, perdendo ciò che la rende indispensabile: presidio del territorio, qualità media, rapporto con la comunità.
E qui si innesta l’esperienza di tante realtà digitali: crescere di traffico non basta se quel traffico è “in affitto”, cioè dipende da algoritmi e piattaforme che cambiano regole, formati e priorità. Il caso Gedi diventa allora un promemoria: la solidità, oggi, è soprattutto capacità di costruire relazioni dirette con il pubblico.
L’Italia che si informa ma paga poco: il nodo degli abbonamenti
Uno dei problemi più sottovalutati, quando si parla di crisi dei giornali, è che il pubblico italiano ha una propensione al pagamento per le news digitale storicamente bassa.
Il Digital News Report Italia 2025 indica che nel 2025 la quota di chi ha effettuato una qualche forma di pagamento per accedere a notizie online è tornata al minimo storico del 2019: 9%.
Il report aggiunge un dettaglio che per gli editori online vale oro: tra chi accede alle notizie prevalentemente tramite social, solo 7% ha pagato; tra chi usa un accesso diretto a siti e app di testate, la quota sale (fino al 16% nel confronto per modalità principale).
In altre parole: se la tua strategia vive solo di social, hai due problemi contemporanei. Il primo è la volatilità della distribuzione; il secondo è che stai pescando in un bacino dove convertire in ricavo è statisticamente più difficile. Non significa rinunciare ai social, ma usarli con un obiettivo diverso: portarli dentro un sistema di canali che permetta di “riconoscere” il lettore e tornare a parlargli.
La distribuzione è cambiata: il lettore non entra più dalla porta principale
Un’altra ragione della difficoltà dei giornali è la trasformazione del consumo. Il quotidiano, per definizione, nasce come abitudine; ma l’abitudine oggi passa da molti ingressi diversi.
Il Digital News Report Italia 2025 evidenzia come i social e le app di messaggistica siano parte integrante della dieta informativa per fasce ampie di pubblico, con differenze per età e istruzione. Nel report, tra i più giovani la quota che indica i social come fonte principale è significativamente più alta rispetto alle fasce più anziane, mentre la TV cresce con l’età.
Per un editore, questo significa una cosa: la home page da sola non basta più. Oggi il prodotto editoriale è l’insieme di ciò che fai su sito, newsletter, notifiche, canali social, video e formati nativi; e la strategia è farli lavorare insieme, non in concorrenza.
Cosa possiamo imparare nel Nordest: la forza della comunità, non solo del traffico
Nel Nordest, dove la relazione con il territorio è spesso più forte che altrove, la crisi dei giornali ha un doppio volto. Da una parte c’è la fragilità economica comune a tutto il settore; dall’altra c’è un vantaggio competitivo reale: la prossimità.
Qui la notizia non è soltanto “cosa è successo”, ma “cosa cambia per me domani”: viabilità, sanità, scuola, imprese, sicurezza, eventi, protezione civile. È un giornalismo che diventa servizio. E il servizio, se è fatto bene, crea fedeltà.
Un editore digitale del Nordest, che preferisce restare anonimo, sintetizza così: “Il nostro pubblico non chiede la notizia più veloce in assoluto, chiede la notizia più utile per vivere meglio la giornata”. È una dichiarazione che vale come bussola: se sei utile, riduci la dipendenza dagli algoritmi e aumenti la probabilità che il lettore torni da te.
Fiducia: la moneta che decide tutto
Nelle fasi di mercato difficili, la fiducia smette di essere un concetto astratto e diventa un indicatore economico: influenza il tempo di lettura, la condivisione, la disponibilità a iscriversi a una newsletter, a sostenere un progetto, a segnalare una notizia.
Nel caso Gedi, il tema della fiducia è esplicito nelle parole istituzionali e sindacali, quando si insiste su indipendenza editoriale e trasparenza.
Per un editore online locale, la traduzione è pratica: firme chiare, contatti verificabili, correzioni trasparenti, confine netto tra informazione e contenuti commerciali, regole interne sui titoli per evitare promesse che l’articolo non mantiene.
Come innovarsi: una rotta concreta per editori di notizie online
Innovare non significa “fare tutto”: significa scegliere poche mosse che aumentano la solidità nel tempo. Il punto non è inseguire ogni formato nuovo, ma costruire un sistema che regge anche quando cambiano gli algoritmi.
Canali proprietari: la prima scelta industriale
La lezione che arriva dai dati sui pagamenti è chiara: più il rapporto è diretto, più è monetizzabile.
Per questo, una strategia moderna mette al centro tre leve: newsletter, notifiche e community.
La newsletter, in particolare, non è un vezzo: è un modo per trasformare lettori occasionali in lettori abituali. E nel Nordest può diventare un prodotto editoriale fortissimo se si aggancia a bisogni reali: agenda del territorio, allerte, sintesi delle notizie della giornata, approfondimenti su temi ricorrenti come sanità e scuole.
Prodotto: meno rumore, più utilità e riconoscibilità
Nel 2025 l’utente è sommerso. Vince chi è riconoscibile, chi ha un tono e una promessa editoriale coerente. Questo vale soprattutto nelle news locali, dove la tentazione di pubblicare “tanto e veloce” è forte, ma il rischio è abbassare la qualità media e rendere il sito meno affidabile nel tempo.
Un caporedattore digitale del territorio, anche qui in forma anonima, la mette così: “Non dobbiamo battere tutti sul numero di pezzi. Dobbiamo farci scegliere quando conta”. È la differenza tra volume e valore.
Ricavi: uscire dalla dipendenza totale dal banner
La pubblicità resta un pezzo della torta, ma da sola fatica a garantire stabilità. Serve un mix: vendita diretta locale, progetti speciali, partnership sul territorio, eventi, format video sponsorizzabili in modo trasparente, formule di sostegno leggere.
Nel caso Gedi si vede come le scelte industriali siano ormai obbligate a confrontarsi con conti in pressione e con la necessità di un progetto credibile.
Per gli editori online, il concetto è lo stesso: il progetto industriale va costruito prima che arrivi l’emergenza, non dopo.
Tecnologia e dati: misurare ciò che conta davvero
Un errore ricorrente è inseguire solo pageview e utenti unici. Nel 2025, i numeri che raccontano la salute di una testata digitale sono altri: ritorno dei lettori (quanti tornano in 7 e 30 giorni), iscrizioni, crescita dei canali diretti, tempo di lettura per formato, quota di ricavi da vendita diretta.
Qui l’esperienza del Nordest può diventare un vantaggio: una comunità “vicina” permette di fare un giornalismo che stimola partecipazione e ritorno, riducendo la dipendenza da picchi occasionali.
Il messaggio finale del dossier: la crisi come selezione naturale
Il caso La Stampa–Gedi, con il suo carico di scioperi, richieste di trasparenza, timori su identità e pluralismo, mette in luce un fatto: il giornalismo non è solo contenuto, è anche struttura industriale e patto con i lettori.
Per gli editori di notizie online del Nordest, la lezione è netta: non basta crescere, bisogna diventare indispensabili. Indispensabili perché utili, riconoscibili, affidabili; e sostenibili perché capaci di costruire pubblico diretto, prodotti editoriali che creano abitudine e ricavi diversificati che reggono nel tempo.