Il Natale più difficile: il racconto di chi è ripartito dal buio

In studio la testimonianza intensa e anonima di una persona che racconta il Natale più buio della sua vita e il lento percorso per ritrovare sé stessa.

21 dicembre 2025 16:05
Il Natale più difficile: il racconto di chi è ripartito dal buio -
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UDINE – Arriva in studio con qualche minuto di anticipo, come fanno le persone che non vogliono creare problemi. Prima ancora di sedersi ribadisce una richiesta semplice e ferma: niente video, nessun volto, solo la voce. Non è paura, non è vergogna. È il bisogno di proteggere una storia che per anni è rimasta chiusa dentro, e che ora decide di condividere solo perché, dice, «forse può servire a qualcuno».

L’atmosfera è raccolta, quasi sospesa. Il Natale è alle porte, fuori le luci illuminano le strade, ma qui dentro il tempo sembra rallentare. «Quando si parla di Natale – esordisce – si dà per scontato che debba essere un momento felice. Per me non lo è stato. Anzi, è stato il periodo più difficile della mia vita». Lo dice senza enfasi, come un dato di fatto. La sua è una voce che ha già attraversato il dolore e ora lo racconta con lucidità.

Quel Natale arrivò in un momento in cui tutto, lentamente, stava cedendo. Il lavoro non andava come previsto, le relazioni si erano sfilacciate, la fiducia in se stesso era diventata fragile. «Non c’è stato un evento solo. È stato un accumulo. Una sensazione costante di non essere all’altezza, di aver sbagliato strada». Le feste, invece di essere una pausa, diventarono un amplificatore. «Quando tutto intorno ti dice che dovresti essere felice e tu non lo sei, il problema sembra essere solo tuo».

Ricorda con precisione la vigilia di quel Natale. Una casa ordinata, ma fredda. La televisione accesa per non sentire il silenzio. Il telefono appoggiato sul tavolo, guardato più volte del necessario. «Aspetti un messaggio, una chiamata. Non per bisogno, ma per conferma. Quando non arriva, capisci che sei davvero solo». Non c’era rabbia, racconta, solo un vuoto profondo. «Non riuscivo nemmeno a piangere».

Il momento più duro non fu una crisi improvvisa, ma qualcosa di più sottile e pericoloso: la perdita totale della prospettiva. «Non vedevo il giorno dopo. Non vedevo il futuro. E quando non vedi il futuro, smetti anche di avere paura». È una frase che resta sospesa nello studio. Non è detta per colpire, ma per spiegare uno stato d’animo che spesso resta invisibile.

Quel Natale non fu salvato da un gesto eclatante, né da una decisione improvvisa. Fu un dettaglio minuscolo a cambiare tutto. «Una persona si è accorta che qualcosa non andava. Non mi ha fatto domande, non ha insistito. Mi ha solo detto: vieni a bere qualcosa». Un invito semplice, quasi banale. Ma in quel momento fu decisivo. «Per la prima volta dopo tanto tempo qualcuno mi guardava davvero, senza aspettarsi niente».

Non fu una svolta immediata. Ci tiene a chiarirlo. «Non è come nei film. Non ti svegli il giorno dopo diverso». Fu un percorso lungo, faticoso, fatto di passi piccoli, di momenti di forza e di ricadute. «Ci sono stati giorni in cui pensavo di essere tornato al punto di partenza». Ma qualcosa era cambiato. «Avevo smesso di affrontare tutto da solo».

Racconta quanto sia difficile, soprattutto per un adulto, ammettere di non farcela. «Ti insegnano che devi resistere, che devi cavartela. A Natale questa pressione diventa ancora più forte». Le immagini perfette, le famiglie sorridenti, i brindisi. «Se non ti riconosci in quel modello, ti senti sbagliato».

Un tema ritorna più volte nel suo racconto: la vergogna. «È quella che ti blocca. Ti fa pensare che il tuo dolore non sia legittimo, che ci sia sempre qualcuno che sta peggio». Per anni è rimasto in silenzio proprio per questo. Oggi ha scelto di parlare, mantenendo l’anonimato, perché sa quanto possa essere importante sentirsi rappresentati. «Se anche una sola persona si riconosce, allora ne vale la pena».

Parla anche di come sia cambiato il suo rapporto con il Natale. «Non è diventato improvvisamente bello. È diventato vero». Oggi lo vive senza aspettative, senza obblighi. «Ho capito che non è un esame da superare. È solo un giorno». A volte lo passa in compagnia, a volte no. «E va bene così».

Oggi la sua vita è diversa. Non perfetta, non lineare. «Ma è mia». Ha imparato a riconoscere i segnali, a chiedere aiuto prima di toccare il fondo. «Stare bene non significa non cadere più. Significa sapere che puoi rialzarti».

Prima di chiudere l’intervista chiede di poter dire una cosa, senza domande. «Se per qualcuno il Natale è un peso, non c’è niente di sbagliato. Non siete sbagliati voi». Lo dice lentamente, come se volesse che ogni parola arrivasse a destinazione. «Parlatene. Anche con una sola persona. Anche con qualcuno che non conoscete bene».

La telecamera resta spenta fino all’ultimo secondo. Quando il microfono si spegne, in studio non c’è bisogno di commenti. Rimane la consapevolezza che non tutti i Natali sono fatti di luci, ma alcuni sono fatti di silenzi, di cadute e di mani tese al momento giusto. Ed è proprio uno di quei Natali, racconta, che gli ha cambiato la vita.

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