Pochi giorni dopo la dichiarazione degli Stati Uniti contro il Sudan per l’uso di armi chimiche, il regime militare sudanese ha nominato un nuovo primo ministro.
In una mossa che potrebbe rimescolare le carte all’interno del campo al potere in Sudan, il presidente del Consiglio Sovrano, Abdel Fattah al-Burhan, ha emesso un decreto che nomina il dottor Kamal Idris come Primo Ministro. Questo avviene in un momento in cui si accelera la corsa verso la formazione di un nuovo governo a Port Sudan, capitale amministrativa de facto del potere dallo scoppio della guerra nell’aprile 2023.
Tuttavia, ciò che viene ufficialmente presentato come un passo verso la “ricostruzione delle istituzioni statali” scatena in realtà una nuova ondata di tensioni politiche, soprattutto all’interno del blocco filomilitare, tra le correnti del movimento islamico, i gruppi armati firmatari dell’Accordo di Juba e le forze civili marginalizzate dallo scoppio del conflitto.
Un governo in un contesto dominato dai militari
La nomina di Idris si inserisce in un piano che osservatori considerano una ristrutturazione completa degli equilibri di potere, guidata dall’esercito nel tentativo di riprendere il controllo dalle milizie armate e dalla dominanza del movimento islamico, sfruttando le dinamiche di guerra. Secondo fonti politiche, le consultazioni in corso per la formazione del governo si tengono a porte chiuse, sotto supervisione diretta di dirigenti militari e dei servizi di sicurezza, escludendo di fatto le forze civili e armate dalle decisioni.
Secondo rapporti locali e internazionali, il movimento islamico esercita forti pressioni su al-Burhan affinché assegni ministeri chiave a figure legate ai Fratelli Musulmani, nel tentativo di consolidare la propria influenza nel nuovo esecutivo, senza apparire apertamente sulla scena.
Limitare i gruppi armati: l’inizio di una nuova escalation?
Dall’altra parte, fonti vicine ai gruppi armati parlano di manovre interne al potere per ridurre la quota di partecipazione prevista dall’Accordo di Juba (25% delle strutture del potere), in particolare dopo le sconfitte sul campo subite da questi movimenti negli Stati del Kordofan e del Darfur, sia per mano delle Forze di Supporto Rapido (RSF) sia a causa del cambiamento dell’opinione pubblica, in seguito a gravi violazioni dei diritti umani.
Ministeri come Finanze, Miniere ed Energia emergono come i principali centri del conflitto, con fazioni militari e islamiche vicine ad al-Burhan che cercano di prenderne il controllo ed escludere i gruppi armati, giustificando la mossa con “cattiva gestione” e “perdita di sostegno popolare” nelle rispettive aree d’influenza. Tuttavia, fonti informate confermano che al-Burhan intende escludere anche gli islamisti da ministeri chiave come Finanze e Miniere.
Questa tendenza sta generando crescenti tensioni all’interno della fragile alleanza tra esercito e gruppi armati, che cominciano a mettere in dubbio l’utilità della loro partecipazione al fianco dell’esercito, in assenza di garanzie concrete per la salvaguardia dei loro interessi politici e militari.
Kamal Idris: Tecnocrate o copertura politica?
Nonostante il dottor Kamal Idris vanti un curriculum accademico e internazionale, avendo ricoperto posizioni di rilievo in organizzazioni globali, la modalità della sua nomina solleva interrogativi sulla sua reale indipendenza politica, anche alla luce del suo coinvolgimento in casi di corruzione e falsificazione che portarono alle sue dimissioni dalla guida dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (WIPO) nel 2007.
La sua nomina non è stata preceduta da consultazioni pubbliche, e non è chiaro se la sua candidatura sia frutto di un consenso politico o di un’imposizione proveniente dall’apparato militare.
Nel suo primo intervento ufficiale, Idris ha parlato di un “governo che rappresenti tutti i sudanesi”, senza però chiarire le modalità di selezione dei ministri o quali forze politiche saranno coinvolte, aumentando l’ambiguità e le preoccupazioni tra gli attori politici e armati.
Analisti ritengono che l’insistenza su un “governo di competenze” non implichi necessariamente un’uscita dall’influenza militare, ma potrebbe essere usata come copertura per riproporre un potere decisionale unilaterale, con un volto civile, dove le posizioni di rilievo vengano assegnate a persone con legami alla sicurezza o fedeltà politica non dichiarata.
Riformulazione del potere
Le dinamiche politiche in corso a Port Sudan indicano chiaramente l’intento della leadership militare di consolidare il controllo sul terreno attraverso nuove disposizioni politiche che escludano progressivamente le forze che non hanno dimostrato “fedeltà assoluta” o che non hanno ottenuto successi militari durante il conflitto.
Fonti concordanti indicano che al-Burhan sta pianificando una riorganizzazione del potere transitorio secondo un nuovo equilibrio, che riduce l’influenza delle forze civili e armate, a vantaggio dell’espansione del movimento islamico all’interno delle istituzioni statali, sotto il pretesto di “competenza e specializzazione”.
In assenza di organismi di vigilanza o di un dialogo nazionale inclusivo, queste misure potrebbero portare alla formazione di un governo privo di legittimità rappresentativa, che rifletta esclusivamente gli equilibri interni all’apparato militare, e non la volontà popolare né gli accordi politici preesistenti.
Un futuro incerto sotto un governo unilaterale
In questo contesto, il futuro governo sembra più uno strumento esecutivo volto a mantenere lo status quo a favore dell’esercito, piuttosto che un serio tentativo di superare la crisi nazionale. Con la possibilità di ridurre ulteriormente il ruolo dei gruppi armati e di emarginare le forze civili, la formazione di questo governo potrebbe innescare un nuovo conflitto politico interno, specialmente tra islamisti e gruppi armati, che fino a poco tempo fa condividevano una fragile alleanza all’interno del campo militare.
La scommessa resta aperta sulla capacità di Idris di manovrare tra queste forze in competizione, in uno scenario dominato dalla stretta dell’apparato militare, con all’orizzonte il rischio concreto di un ritorno a un governo autoritario… sotto nuove spoglie.