La superstizione di ‘La forza del destino’
Tra gli addetti ai lavori c’è un tabù che non viene mai infranto. Si evita accuratamente di nominarlo direttamente, preferendo usare giochi di parole o allusioni. Il motivo di tutto questo riserbo? Si dice che ‘La forza del destino’, la ventiquattresima opera di Giuseppe Verdi, porti sfortuna. Questa superstizione è particolarmente sentita in vista dell’apertura della stagione 2024/2025 del Teatro alla Scala, quando l’opera sarà in cartellone. Nonostante sia considerata solo una superstizione, questa credenza ha generato numerosi scongiuri. Nonostante il successo dell’opera, che è diventata un pilastro nel repertorio verdiano, ‘La forza del destino’ è vista come un presagio di sventura a causa di eventi sfavorevoli che hanno caratterizzato le esecuzioni o le vite delle persone coinvolte nella sua realizzazione.
Alcuni professionisti del teatro addirittura rifiutano di pronunciare il titolo all’interno dei teatri, optando per l’espressione ‘potenza del fato’. Per questo motivo, l’opera è anche conosciuta come l”innominabile’ di Verdi. Già il viaggio del compositore in Russia nel novembre 1861, dove ‘La forza del destino’ doveva debuttare, fu compromesso a causa della malattia di una cantante. Un inizio poco promettente, per certi versi. Durante una rappresentazione dell’opera al Metropolitan di New York il 4 marzo 1960, Leonard Warren collassò e morì di fronte a un pubblico incredulo. Il baritono stava interpretando il ruolo di Don Carlo di Vargas e durante il terzo atto, cantava l’aria ‘Morir, tremenda cosa’. I medici diagnosticarono un’emorragia cerebrale come causa della sua morte.
Gli incidenti sul palcoscenico durante le esecuzioni di ‘La forza del destino’ sono numerosi. Perfino in Giappone, durante il tragico terremoto del 2011, l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino stava provando per la rappresentazione dell’opera al Teatro Bunka Kaikan. È probabile che tra gli spettatori eleganti del Piermarini la sera del debutto, qualcuno nasconda un amuleto portafortuna come un ‘curniciello’ rosso in tasca o nella borsetta. Il classico esempio di ‘non è vero, ma ci credo’.
