Incidenti stradali, Nordest nella morsa: perché i giovani muoiono nonostante auto sicure e tecnologiche

Dossier sugli incidenti nel Nordest: perché i giovani muoiono ancora sulle strade nonostante auto sicure? Intervista all’esperto di guida sicura Gianni De Lorenzi.

22 settembre 2025 20:59
Incidenti stradali, Nordest nella morsa: perché i giovani muoiono nonostante auto sicure e tecnologiche -
Condividi

Una lunga striscia di sangue continua a segnare le strade del Nordest. Ogni settimana, le cronache locali riportano episodi drammatici: ragazzi che non fanno ritorno a casa, famiglie distrutte, comunità in lutto. Un fenomeno che interroga tutti, soprattutto perché avviene in un’epoca in cui le automobili non sono mai state così sicure e tecnologicamente avanzate.

Airbag multipli, sistemi di frenata automatica, sensori di stanchezza, assistenti di corsia, telecamere a 360 gradi: la tecnologia sembra offrire protezione totale. Eppure le statistiche raccontano un’altra verità.

Secondo i dati ACI-ISTAT 2024, in Italia ci sono stati oltre 3.150 morti sulle strade, con un’incidenza altissima tra i giovani sotto i 30 anni. Friuli Venezia Giulia e Veneto, territori dinamici e ricchi di infrastrutture, hanno registrato un incremento degli incidenti mortali del 7% rispetto al 2023. Nel 40% dei casi le vittime avevano meno di 30 anni.

Per capire le ragioni di questo paradosso – auto sicure ma strade sempre più letali – abbiamo realizzato un dossier arricchito da un’intervista esclusiva a Gianni De Lorenzi, istruttore di guida sicura con oltre vent’anni di esperienza e formatore in diversi progetti scolastici di educazione stradale.


Il paradosso delle auto sicure

Oggi le automobili moderne integrano tecnologie di sicurezza che fino a dieci anni fa erano impensabili. Il controllo elettronico della stabilità (ESP) riduce le sbandate, i sistemi di frenata automatica (AEB) intervengono se il conducente non reagisce in tempo, gli airbag multipli proteggono in caso di urto. Eppure le cronache raccontano di giovani che muoiono in auto di ultima generazione, con cinque stelle nei crash test Euro NCAP.

La risposta va cercata altrove: nei comportamenti, negli stili di vita, nella percezione del rischio e nel ruolo della tecnologia.


L’intervista a Gianni De Lorenzi

“La sicurezza passiva non può salvare da tutto”

De Lorenzi, perché i giovani continuano a morire nonostante le auto moderne siano piene di dispositivi di sicurezza?

«Il problema è che molti ragazzi confondono la sicurezza passiva con l’invincibilità. Le auto moderne ti proteggono in caso di impatto, ma non possono annullare le leggi della fisica. A 150 km/h un urto frontale equivale a cadere da un grattacielo di dieci piani. Nessun airbag o cintura può evitare la tragedia. La tecnologia riduce le conseguenze, ma non può fare miracoli».


“Velocità, distrazione e alcol: il mix letale”

Quali sono i fattori che più spesso trova negli incidenti dei giovani?

«Tre parole: velocità, distrazione, alcol. La velocità eccessiva è la principale causa di morte sulle strade. I giovani hanno poca esperienza e tendono a sopravvalutarsi, trasformando la strada in una pista. La distrazione, soprattutto il cellulare, è un’altra piaga: bastano tre secondi di occhi sullo schermo per percorrere cento metri senza guardare. Infine l’alcol: ancora oggi, nei weekend, un incidente grave su tre ha a che fare con la guida in stato di ebbrezza».


“Il mito dell’immortalità”

Molti psicologi parlano di “illusione d’immortalità” nei giovani. È d’accordo?

«Assolutamente sì. Tra i 18 e i 25 anni si pensa: a me non succederà mai. Si sente il bisogno di dimostrare qualcosa agli amici, di provare l’ebbrezza della velocità. Il problema è che l’esperienza è minima, la capacità di valutare i rischi è bassa e il margine d’errore inesistente. È un mix esplosivo che spesso porta a esiti irreversibili».


I numeri della tragedia

  • Nel 2024 il 23% delle vittime della strada in Italia aveva meno di 30 anni.

  • Nel Nordest, il 40% degli incidenti mortali avviene nel weekend, tra sabato sera e domenica mattina.

  • Le strade extraurbane secondarie sono il teatro del 60% degli incidenti mortali: carreggiate strette, curve, poca illuminazione, velocità elevata.


“La patente non basta”

Qual è il limite principale della formazione attuale dei giovani conducenti?

«La patente di guida oggi è un percorso teorico e pratico di base, ma non insegna davvero come gestire le emergenze. Nessun ragazzo prova una frenata di emergenza a 100 km/h, nessuno sperimenta l’auto che sbandando perde aderenza. Quando capita davvero, reagiscono in modo sbagliato e spesso è fatale. Servirebbero corsi obbligatori di guida sicura, non solo facoltativi o legati a progetti extra».


Tecnologia amica, ma non sostituta

Molti giovani pensano che l’auto possa “salvarli sempre”. Quanto pesa questa illusione?

«Tantissimo. L’AEB, il controllo corsia, i sensori di parcheggio… sono utilissimi, ma non funzionano sempre. Se piove forte o la strada è ghiacciata, la tecnologia ha limiti enormi. E soprattutto non può cambiare l’imprudenza del conducente. Bisogna capire che la tecnologia è un aiuto, non un lasciapassare per correre o distrarsi».


Il ruolo delle famiglie

Che ruolo hanno i genitori nella formazione dei ragazzi alla guida?

«Enorme. Spesso i genitori pensano: “gli compro l’auto nuova, così è più sicuro”. Ma il vero investimento deve essere nella cultura della guida. I ragazzi devono capire che ogni scelta al volante ha conseguenze. Servono dialogo, regole e anche esempi concreti: se il padre usa il cellulare alla guida, che messaggio trasmette al figlio?».


Educazione stradale nelle scuole

Cosa pensa dei progetti di educazione stradale?

«Sono fondamentali. Io stesso lavoro nelle scuole e vedo che quando i ragazzi vengono coinvolti in simulazioni pratiche capiscono davvero il rischio. Far provare loro con simulatori cosa significa una frenata d’emergenza o la perdita di controllo è molto più efficace di mille lezioni teoriche. Bisognerebbe introdurre la guida sicura come materia obbligatoria già nelle scuole superiori».


Esperienze in prima persona

De Lorenzi racconta alcuni casi emblematici:

  • «Un ragazzo di 19 anni, incidente mortale dopo una serata. Era convinto che l’auto nuova e il controllo elettronico lo salvassero. È uscito di strada a 160 km/h. Nessuna tecnologia avrebbe potuto evitarlo».

  • «Una ragazza di 22 anni, sopravvissuta a un incidente frontale grazie alla cintura allacciata. L’amica accanto, senza cintura, è morta sul colpo. Questo dimostra che i gesti più semplici fanno la differenza».


Le proposte per fermare la striscia di sangue

  • Corsi obbligatori di guida sicura per i neopatentati.

  • Campagne di sensibilizzazione mirate sui social, dove i giovani trascorrono più tempo.

  • Coinvolgimento delle famiglie in percorsi educativi.

  • Controlli più severi su alcol e droga, soprattutto nei weekend.

  • Investimenti sulle infrastrutture: illuminazione, manutenzione delle strade secondarie, guardrail moderni.


La sfida culturale

La lunga striscia di sangue nel Nordest non si fermerà con le sole tecnologie di bordo. Serve una rivoluzione culturale: educazione, consapevolezza, rispetto.

Come ricorda De Lorenzi: «La guida sicura non è un insieme di tecniche, è un atto di responsabilità verso se stessi e gli altri. Ogni volta che saliamo in auto facciamo una scelta che può determinare il futuro nostro e di chi ci sta vicino. Non dimentichiamolo mai».

Le migliori notizie, ogni giorno, via e-mail