Nordest tra maltempo, alluvioni e siccità: il dossier con l’esperto sul clima che cambia
Piogge record, alluvioni e siccità mettono sotto pressione il Nordest. L’esperto Luigino Bottolo spiega come e perché il clima sta cambiando.
Nel giro di pochi anni il Nordest italiano è diventato un osservatorio privilegiato – e al tempo stesso fragile – del cambiamento climatico. Basta guardare gli ultimi eventi estremi: precipitazioni violente concentrate in poche ore, fiumi che esondano con rapidità, smottamenti che isolano intere vallate, ma anche periodi di siccità prolungata che lasciano a secco terreni, coltivazioni e falde acquifere. Una sequenza che sembra non dare tregua e che interroga istituzioni, comunità e mondo scientifico. Per comprendere le cause e le possibili prospettive future, abbiamo interpellato Luigino Bottolo, climatologo e ricercatore che da anni studia l’evoluzione meteo-idrologica in Friuli Venezia Giulia e Veneto.
«La vera novità che stiamo osservando – spiega Bottolo – non riguarda tanto la quantità totale di pioggia che cade in un anno, quanto la modalità con cui queste precipitazioni si distribuiscono. In pratica, la pioggia non manca, ma cade in maniera sempre più concentrata. In un solo giorno possono riversarsi al suolo millimetri d’acqua che un tempo erano spalmati nell’arco di settimane. È questo che rende più frequenti e violente le cosiddette bombe d’acqua, con conseguenze immediate sul territorio». Secondo l’esperto, il Tagliamento, l’Isonzo e il Piave sono i fiumi che meglio raccontano questa nuova vulnerabilità: corsi d’acqua impetuosi, spesso non arginati o comunque liberi di scorrere, che reagiscono in maniera rapidissima alle precipitazioni violente. «Il Tagliamento è considerato l’ultimo grande fiume alpino in gran parte libero in Europa, un patrimonio naturalistico immenso – sottolinea Bottolo – ma proprio questa sua caratteristica lo rende estremamente reattivo. Una piena che si sviluppa in poche ore può mettere in difficoltà comunità, infrastrutture e attività agricole situate lungo le sponde».
Se le piogge estreme rappresentano il volto più visibile delle emergenze climatiche, l’altra faccia della medaglia è la siccità. «Gli inverni sempre più miti riducono drasticamente le riserve di neve in montagna. La neve era una sorta di serbatoio naturale, che garantiva acqua a fiumi e falde durante la primavera e l’estate. Oggi questo equilibrio si sta rompendo: meno neve significa meno acqua disponibile nei mesi caldi. A questo si aggiungono le ondate di calore, sempre più lunghe e intense, che accelerano l’evaporazione. Così anche dopo piogge abbondanti l’acqua scorre via velocemente e non riesce a penetrare nel terreno, lasciando i campi assetati».
Gli effetti sono evidenti nell’agricoltura, settore che nel Nordest ha un ruolo decisivo per l’economia locale e l’identità del territorio. Vigneti, frutteti, campi di mais e ortaggi soffrono per la mancanza d’acqua e per i fenomeni atmosferici estremi. «Le grandinate estive, sempre più frequenti e violente, riescono in pochi minuti a distruggere raccolti e mesi di lavoro. Gli agricoltori stanno sperimentando nuovi sistemi di irrigazione e consorzi irrigui più moderni, ma serve una pianificazione su scala regionale. L’agricoltura è in prima linea e rischia di essere la vittima più colpita di questa nuova normalità climatica».
Un capitolo a parte riguarda la montagna, sempre più fragile. Le piogge violente provocano frane, smottamenti e colate detritiche che interrompono viabilità e isolano i paesi. «La tempesta Vaia del 2018 – ricorda Bottolo – ha abbattuto milioni di alberi e lasciato vaste aree prive di copertura forestale. Quelle ferite non sono ancora completamente guarite e, in mancanza di radici che trattengano il suolo, i versanti sono molto più esposti al rischio idrogeologico. Ogni perturbazione intensa può trasformarsi in un pericolo per la popolazione».
In questo scenario, la Protezione Civile del Friuli Venezia Giulia rappresenta un modello riconosciuto a livello nazionale per tempestività ed efficienza. Gli allarmi meteo vengono diramati in anticipo, il sistema di sensori e radar consente di monitorare i corsi d’acqua in tempo reale e gli interventi sul campo avvengono con grande rapidità. «Il sistema funziona e ha già salvato vite umane – ammette Bottolo – ma da solo non basta. Serve manutenzione dei corsi d’acqua, occorre rivedere la gestione del territorio, rafforzare gli argini dove necessario, ma anche accettare che non possiamo controllare tutto. Alcune aree vanno lasciate libere di esondare, altre devono essere protette con opere mirate».
Alla domanda su cosa ci riservi il futuro, l’esperto non lascia spazio a dubbi: «Dobbiamo prepararci a convivere con eventi estremi sempre più frequenti. Non possiamo fermare questi fenomeni, ma possiamo adattarci. L’adattamento è la parola chiave: infrastrutture resilienti, comunità consapevoli, educazione ambientale e nuove pratiche agricole. Non si tratta solo di gestire le emergenze, ma di ripensare lo sviluppo del territorio». Bottolo invita anche a guardare al passato per trarne insegnamento: «Il Vajont, la piena del 1966, la tempesta Vaia: il Nordest ha già conosciuto tragedie legate all’acqua e al clima. Ogni volta si è ricostruito, ma ora dobbiamo fare un salto di qualità nella prevenzione. Non possiamo più limitarci a intervenire dopo il disastro, serve un cambiamento culturale».
Il Nordest appare dunque come un laboratorio a cielo aperto, dove si intrecciano scienza, politica e vita quotidiana. «Il clima che cambia non è un problema astratto – conclude Bottolo – ma una realtà che tocca le nostre case, i nostri campi, i nostri fiumi. Se vogliamo continuare a vivere in un territorio sicuro e prospero, dobbiamo accettare la sfida della resilienza. Non si tratta di paura, ma di responsabilità verso noi stessi e le generazioni future».
Un dossier che fotografa con chiarezza come le piogge estreme, le alluvioni e la siccità non siano più eventi straordinari, ma elementi ormai ricorrenti del paesaggio climatico del Nordest. Un monito che chiede risposte concrete e immediate, in un’area che ha sempre saputo reagire alle difficoltà e che oggi è chiamata a diventare modello di adattamento e innovazione