Andare al parrucchiere in un altro Comune rispetto a quello di residenza? In Friuli Venezia Giulia è vietato, anche se il Comune è contermine, a meno che il servizio non sia indisponibile a “casa propria” o che non sia economicamente sconveniente.
Così è, secondo l’interpretazione data dal Prefetto di Trieste nonché Commissario di Governo in FVG, Valerio Valenti, all’articolo 2, comma 4, dell’ultimo Dpcm firmato dal premier Giuseppe Conte relativo alle limitazioni degli spostamenti. Il dettato normativo, prestandosi a diverse letture a livello locale, ha prodotto una situazione iniqua nel Paese tale per cui se nella zona arancione del Friuli Venezia Giulia gli spostamenti sono vietati, in quella rossa della Lombardia muoversi per andare dal parrucchiere invece si può in diverse province, da Sondrio a Brescia, da Monza a Cremona, come pure in Piemonte nel cuneese.
I saloni friulani, ma anche i centri estetici e i tatuatori, denunciano la disparità di trattamento. Il comparto dei servizi alla persona, che a livello regionale conta su 3.245 imprese artigiane, dà lavoro a quasi 6.000 addetti e nelle province (a differenza che in città) lavora per il 40/50 per cento con clienti che provengono da fuori Comune, è sul piede di guerra. In Friuli la maggior parte delle imprese ha sede in piccoli paesi.
Il rapporto tra Udine capoluogo e provincia è del 25% a 75%: due imprese e mezza hanno sede in città contro le 7,5 dei paesi dell’ex provincia. Rapporto che ovviamente si inverte nel caso della provincia giuliana dove fatte 100 le imprese, il 93,4% ha sede in città. «La scelta di limitare gli spostamenti nel caso di servizi come il nostro è poco lungimirante perché non tiene conto della salute dei cittadini. Le persone sono impaurite e rischiano di non muoversi piuttosto che andare dove non conoscono e non si sentono sicure. Il risultato? Ancora una volta sarà quello di aumentare l’abusivismo – denuncia Loredana Ponta, capocategoria di Confartigianato-Imprese Udine e Fvg – con il risultato che i saloni, dove vengono rispettati tutti i protocolli e le norme igieniche, saranno vuoti, mentre nelle case avremo persone che tagliano i capelli in barba a ogni decreto, mettendo a repentaglio anzitutto la salute dei cittadini». Ponta non si consola pensando che si tratta di una restrizione a breve termine.
«Anzitutto non sappiamo cosa accadrà poi, ma intanto il danno è fatto. Abbiamo perso tre mesi in primavera, l’estate è andata a rilento anche per via delle limitazioni che abbiamo osservato in modo rigoroso, diluendo appuntamenti, acquistando presidi igienico-sanitari, pulendo ancor più di prima: sono tutti costi che dobbiamo ammortizzare. Ora ci ritroviamo poco meno che bloccati. Proprio noi che lavoriamo su appuntamento, con la massima igiene e con persone che a differenza delle grandi città, dove i mezzi pubblici sono affollatissimi, raggiungono i nostri saloni in macchina da casa propria. Cosa cambia se per arrivare fanno in auto un chilometro o due in più?» domanda Ponta ricordando il “caso” Lombardia, dove diversi prefetti hanno autorizzato gli spostamenti dando un’interpretazione del decreto meno restrittiva di quella operata da Valenti.
“Si ritiene che ogni valutazione non possa prescindere dal dato letterale della norma e che eventuali interpretazioni eccessivamente estensive finirebbero con lo svilire l’efficacia reale delle disposizioni in commento rispetto alle finalità per le quali sono state previste” scrive il Commissario del Governo in risposta al quesito posto da Confartigianato FVG. D’altro canto, Valenti concede qualche piccola licenza in caso di “concreta mancanza o sostanziale limitatezza o ancora dimostrata non convenienza economica del servizio nel comune di residenza, domicilio o abitazione”.
In questa condizione, lo spostamento sarebbe consentito, ma solo tra comuni contigui. A questo proposito, l’elenco dei comuni del Fvg con i relativi comuni contigui è stato messo a disposizione sul sito www.confartigianatoudine.com dov’è liberamente consultabile. Chiosa Ponta: “Già in zona gialla abbiamo iniziato a sentire la crisi e a mettere in cassa integrazione i primi dipendenti, ora con la zona arancione interpretata in modo così restrittivo la situazione si fa ancor più grave. O ci fanno lavorare o ci ristorino delle perdite, perché così i piccoli saloni non sono in grado di resistere”.
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